Ponte sullo Stretto, un triplice salto di scala poco convincente

Nota degli ingegneri Aurelio Misiti, Fabio Casciati e Giovanni Saccà

Giorni addietro, alla Facoltà di Ingegneria de La Sapienza, nella sala di Michelangelo, i professori Remo Calzona e Franco Purini sono stati protagonisti di uno straordinario dialogo su “Progettare e costruire, dall’antichità persiana all’epoca contemporanea”. Lo spunto storico è servito per una ricostruzione tra l’autore del libro e il noto architetto sul significato del costruire e in particolare qual è il suo fine e quali i contenuti nell’orizzonte dell’oggi: se utilitas, firmitas, venustas, i tre aspetti che Vitruvio indicava come fondamentali nel concepire un’opera, siano ancora la cifra del progettare contemporaneo. Utilità dell’opera, resistenza strutturale e bellezza cui occorrerebbe aggiungere durabilità e sicurezza.

L’analisi ha spaziato sulle progettazioni attuali e, naturalmente, ha incluso il Ponte sullo Stretto di Messina tema su cui riteniamo di dover partecipare alcune considerazioni.

Al lodevole e trascinante dialogo sull’arte del costruire, dedichiamo in calce un riepilogo. Qui vogliamo soffermarci sull’opera di cui si parla da un secolo e che da 50 anni viene indicata come prossima a partire, seppur tra alterne vicende con start e stop che hanno acceso o spento gli entusiasmi.

Nel dibattito tra cattedratici a Roma è emerso che, per i ponti stradali-ferroviari, l’esperienza acquisita, in ossequio al sempre valido principio galileiano dello sperimentare, suggerisce di non spingersi oltre i 1500-1600 metri di luce unica. In particolare, il professor Fabio Casciati, dell’Università di Pavia e oggi docente dell’Università di Zhejiang ad Hangzhou in Cina, ha ricordato quali siano le caratteristiche dei ponti sospesi, costruiti come ponti stradali, stradali-ferroviari e ferroviari soltanto. Mentre quelli stradali hanno ormai raggiunto dimensioni di 2000 mt nella campata maggiore, i ponti ferroviari si sono fermati a campate principali di lunghezza massima di 1408 mt. Ciò perché i ponti sospesi essendo posti in aria, soggetti a venti molto forti, possono far deragliare i treni, specialmente quelli destinati all’alta velocità. In Cina, dove si sono realizzati negli ultimi 20 anni circa 20 ponti sospesi, si sta realizzando nella provincia dello Zhejiang il ponte autostradale e ferroviario Xihoumen, di campata massima lunga 1488 mt, che quando verrà ultimato nel 2026 stabilirà il nuovo record mondiale di categoria.

Ovvio il fatto che molti progetti di ponti sospesi ferroviari o misti ferroviari-stradali di lunghezze superiori a quella ritenuta realistica progettata dai cinesi, sono stati abbandonati. I tentativi di inserire linee ferroviarie sul ponte giapponese di Akashi non si sono realizzati per i pericoli citati, dovuti principalmente all’azione dei venti.

Il prof. Aurelio Misiti ha evidenziato altresì come sia necessario più che mai ricorrere alle strutture di controllo italiane (Consiglio Superiore dei Lavori Pubblici e Commissione di valutazione di impatto ambientale VIA) prima di accreditare un’opera di tale impatto, così da scongiurare l’inevitabile impressione negativa dell’Italia sul piano internazionale che altrimenti ne deriverebbe. È necessario ricorrere alla scienza di Galileo, più che mai valida nel XXI secolo. La teoria, affermava il più grande scienziato italiano del Rinascimento, basata sulla matematica rigorosa può trattare qualunque opera di grandi dimensioni, ma se l’opera prevista teoricamente non può essere confrontata con una già realizzata e quindi verificata, quella teoria va abbandonata. Gli anglosassoni in passato hanno talvolta disatteso questa cautela e si sono trovati in difficoltà, avendo fatto il passo più lungo della gamba: molti crolli di ponti sono dovuti al fatto che i progettisti non hanno seguito la scienza galileiana.

Infine, l’ing. Giovanni Saccà, ha sottolineato il fatto che il sistema ferroviario italiano è sottoposto al controllo dell’Agenzia Nazionale per la Sicurezza delle Ferrovie e delle Infrastrutture Stradali e Autostradali (ANSFISA), incaricata delle verifiche relative al rispetto delle Specifiche Tecniche di Interoperabilità (STI) e della sicurezza stradale e ferroviaria, ma per il ponte sullo Stretto non risulta ancora il ricorso a tale organo indispensabile soprattutto per la parte ferroviaria del progetto. Dunque, anche un preliminare avallo alla progettazione dovrebbe tornare condizionante prima di cimentarsi in iperbolici tracciati che, triplicando i dati oggi plausibili, fanno ritenere improbabile e azzardato il salto di scala ipotizzato.

Il dialogo Calzona-Purini sull’arte del costruire – Il libro di Remo Calzona intitolato “Progettare e Costruire dall’antichità persiana all’epoca contemporanea” è stato al centro del dialogo tra l’autore e l’esimio architetto professor Franco Purini, il quale ha posto domande molto pertinenti a cominciare dal significato del costruire e in particolare qual è il suo fine e quali sono i contenuti se questi sono evidenti o impliciti. La risposta: nella storia dell’umanità il costruire è stato il primo segno che identificava la società. Esso ha spinto gli esseri umani a stare insieme in una comunità. Dalle grotte, un riparo naturale, gli esseri umani hanno dato vita ad un involucro artificiale “la capanna e la tenda” fatto a misura delle loro attività e dei loro bisogni. Più la società si evolveva, più l’abitare primitivo diventava complesso.

Chiede Purini: se il costruire, oltre a rispondere a problemi funzionali, abbia anche altri valori, che non si percepiscono guardando un manufatto ma sono identificabili con una visione più profonda. La società inizia il suo ruolo nel momento in cui la costruzione non è solo un riparo ma risponde a esigenze sociali e politiche. Il dialogo continua ricordando quello che era il significato dell’architettura nell’antichità. Per Marco Vitruvio Pollione l’architettura aveva tre aspetti: l’utilitas, la firmitas e la venustas. Cioè l’utilità dell’opera, la resistenza strutturale e la sua bellezza. Vitruvio ha scritto un trattato “De Architectura” dedicato ad Augusto, ritenuto valido fino al 1450 quando Leon Battista Alberti aggiorna il libro del legionario di Cesare, scrivendo “De re aedificatoria”. Mancava a Vitruvio ma anche al grande L. B. Alberti ciò che le norme tecniche della nostra epoca prevedono: durabilità e sicurezza. Il fenomeno nuovo del decadimento a fatica dei materiali a causa dei cicli di carico ripetuti.

Purini domanda se ci sia un rapporto tra la bellezza e la dimensione spirituale del costruire e se la bellezza introduce a un livello superiore del costruire. L’autore ritiene che le costruzioni tipo i ponti romani sono anche spirituali perché c’è in loro una professione che i contenuti funzionali, costruttivi, estetici ed etici provengono proprio dalla sfera dello spirito, tanto è vero che i papi venivano indicati come pontefici. Si continua con domande e risposte culturalmente elevate. Si distingue attualmente tra tecnica e tecnologia, essendo quest’ultima, secondo Calzona, l’insieme dei problemi costruttivi in termini più ampi di quelli del fare tecnico. La tecnologia è un aspetto del mondo industriale, è l’esito di una continua ripetizione del produrre che riguarda l’intera sfera dell’atto costruttivo organizzato in codici prima che esso sia concretamente espresso. L’industria produce migliaia di elementi da utilizzare in varie attività costruttive diluite per tecnologie precise in un ordinamento articolato in numerosi settori; in definitiva si potrebbe dire che la tecnologia indica l’intero sistema del costruire mentre la tecnica riguarda la singola operazione che ha come risultato un’opera.

Dice Purini, la tecnica avanzando arriva a diventare tecnologia. Risponde Calzona: «Ho individuato tre livelli di contenuto; il primo livello è la scienza, ossia la conoscenza dei fenomeni fisici delle regole sia elementari sia complesse, che nel tempo si sono consolidate nell’architettura. Il secondo livello è proprio la tecnica, cioè l’essere consapevoli dei modi di mettere assieme in una continuità temporale le regole costruttive. Il terzo livello è invece l’atto tecnico all’interno di una concezione e il più possibile totale del mondo industriale rendendolo così, anche se solo nel pensiero, un atto ripetitivo». La rivalutazione del costruire nel XX secolo ha dato un contenuto più ampio e profondo alla tecnica trasformandola in tecnologia. Purini cita Le Corbusier, il grande fondatore dell’architettura del Novecento, che definiva il carattere più complesso ed elevato delle opere costruite con l’aggettivo indicibile: cioè vi sono ambiti superiori nell’architettura misteriosi, profondi, che non si comprendono ma che si propongono di constatare la loro presenza. I due professori applicano questi concetti a casi pratici e in particolare ai ponti e ai serbatoi costruiti e progettati dallo stesso autore del libro. Naturalmente non può non essere toccato l’argomento del progetto per il ponte sullo stretto di Messina rispetto al quale esiste tuttora un aperto dibattito su come dovrà essere costruito e Purini coglie l’occasione per dire che le opere realizzate dal suo interlocutore sono di un ingegnere artista che si nutre di Umanesimo e Rinascimento.

* prof. ing. Aurelio Misiti, già Presidente del Consiglio Superiore dei Lavori Pubblici.

* prof. ing. Fabio Casciati, già ordinario di Scienza delle Costruzioni presso l’Università di Pavia oggi docente l’Università di Zhejiang nella città di Hangzhou in Cina.

* dott. ing. Giovanni Saccà, già Dirigente del Gruppo Ferrovie dello Stato Italiane e Preside CIFI, Sezione di Verona.

Riferimento ing. Saccà: 338.2865788

Ponte sullo Stretto: il parere del presidente Misiti

Il presidente del CNIM Aurelio Misiti chiarisce: le raccomandazioni scientifiche sono indispensabili per il progetto del Ponte sullo Stretto di Messina e sono volte ad evitare ritardi

La notizia dell’imminente approvazione da parte della Commissione VIA (la quale esamina i progetti relativi all’implemento delle infrastrutture del nostro Paese) in merito al progetto relativo al Ponte sullo Stretto di Messina, ha generato diverse opinioni da parte di esperti e politici, spesso poco informate e superficiali. Il nostro presidente Misiti, che all’epoca dell’Assemblea del 10 ottobre 1987 ricopriva la carica di Presidente del Consiglio Superiore dei Lavori Pubblici, spiega in virtù della sua esperienza e competenza che le raccomandazioni del Comitato Scientifico di Stretto di Messina spa sono indispensabili.

L’Ingegnere e professore Aurelio Misiti ha accolto con favore l’iniziativa del Ministro delle Infrastrutture di procedere alla realizzazione del Ponte sullo Stretto, sottolineando l’importanza di evitare ritardi derivanti da normative affrettate o interpretazioni errate e sostenendo il parere del Comitato Scientifico, formato principalmente da professori universitari italiani competenti, il quale deve essere preso in considerazione insieme alle raccomandazioni sollevate. Secondo il presidente del CNIM queste sono necessarie ed è doveroso inserirle nel progetto definitivo del 2011.

Misiti chiarisce così la sua valutazione all’interno dell’articolo de “L’Eco del Sud”: “Ho letto con molto interesse il parere sulla relazione del progettista (D.L.35/2023) del comitato scientifico di Stretto di Messina spa. In rispetto del D.L.35/2023 e plaudendo all’iniziativa del Ministro del MIT di aver deciso di realizzare il ponte sullo Stretto di Messina e Reggio, intervengo solamente su alcune questioni di forma: non si vuole ritardare la costruzione del ponte, ma evitare i ritardi, che spesso vengono attribuiti alla burocrazia mentre derivano da norme affrettate o attribuzioni errate.”

Il presidente del Comitato Nazionale Italiano per la Manutenzione ha quindi spiegato che il parere conclusivo dell’Assemblea del 1987, sulla base del progetto di massima analizzato, non ha comportato un’approvazione diretta ma la possibilità di sviluppare ulteriormente il progetto. Tuttavia, sembrerebbe che le prescrizioni del Consiglio Superiore non siano state adeguatamente prese in considerazione nella redazione del progetto del 2011, evidenziando la necessità di una revisione più approfondita.

Per Misiti è fondamentale sottoporre il progetto a due enti terzi che forniscono pareri indispensabili per l’avanzamento dello stesso: il Consiglio Superiore dei Lavori Pubblici e la Commissione VIA, affinché tale processo avvenga in parallelo, rispettando i tempi previsti dalla legge.

Il presidente, in conclusione, ha espresso fiducia sul contributo che potrà donare la costruzione del Ponte sullo Stretto di Messina al miglioramento del paesaggio e all’accessibilità della regione, pur rispettando rigorosamente gli standard tecnici e ambientali ed esprimendo altresì rispetto per coloro che hanno sollevato diverse preoccupazioni ambientali in merito al progetto: “Ho grande rispetto invece verso coloro che non vogliono il ponte di Messina perché sconvolgerebbe il paesaggio. È vero che la costituzione italiana prevede anche la tutela dell’ambiente accanto a quella del paesaggio. Ritengo che la tutela del paesaggio sia stata considerata dai Costituenti comprensiva di quella dell’ambiente. Tuttavia, va bene anche così. È da vedere se l’introduzione di un’opera così bella come un ponte sospeso deturpi il paesaggio o lo migliori ancora di più. È stato così in tutto il mondo e credo che lo sarà anche nello stretto di Messina e Reggio, che possiede un paesaggio eccezionale che, a mio modesto avviso migliorerà con la costruzione del ponte”.

La compliance nella manutenzione

Nel panorama della manutenzione, la gestione della compliance rappresenta un elemento cruciale per garantire lo sviluppo delle attività, sia per le aziende che offrono questi servizi, sia per quelle che usufruiscono di tali servizi.

Per avere successo ed essere sostenibili, nel lungo periodo le Organizzazioni in questione hanno la necessità di stabilire e mantenere una cultura della compliance, che consideri le esigenze e le aspettative delle parti interessate.

Le attività di manutenzione sono infatti sempre più soggette a una serie di normative e regolamenti. Queste normative riguardano aspetti fondamentali come, ad esempio, la sicurezza strutturale degli edifici e delle infrastrutture in genere, l’efficienza energetica, l’accessibilità per le persone con disabilità, la gestione dei rifiuti, la prevenzione degli incendi e la sicurezza sui luoghi di lavoro.

 Non essere conformi a queste normative può comportare rischi significativi, inclusi, ad esempio, incidenti strutturali, sprechi energetici, inadempienze legali e danni alla reputazione dell’Organizzazione che è responsabile della gestione della manutenzione.

Gestire la compliance nella manutenzione presenta diverse sfide, quali:

1. Variazioni normative: le normative possono variare notevolmente da regione a regione e per questo possono essere soggette a frequenti e molteplici aggiornamenti, rendendo complesso mantenere un livello adeguato di conformità;

2. Gestione dei dati: coordinare e gestire efficacemente i dati inerenti alla manutenzione può essere impegnativo, oltre che dispendioso;

3. Aspetti finanziari: la manutenzione richiede investimenti in termini di manutenzione preventiva, di aggiornamenti tecnologici e di formazione del personale;

4. Coinvolgimento delle parti interessate: la gestione della compliance coinvolge spesso diverse parti interessate, tra cui, ad esempio, proprietari, amministratori e autorità di regolamentazione. Coordinare gli sforzi di tutte queste parti può essere complesso.

Per affrontare efficacemente le sfide sopra descritte, le Organizzazioni responsabili della gestione della manutenzione possono adottare le seguenti best practices:

1. Analisi approfondita delle normative: attraverso la conduzione di uno studio dettagliato delle normative applicabili al singolo contesto. Una solida conoscenza del settore in cui si opera e un aggiornamento continuo permettono di identificare e di comprendere i rischi normativi specifici in modo più rapido ed efficace;

2. Utilizzo di Sistemi di Gestione integrati: sarebbe opportuno implementare Sistemi di Gestione integrati che coprano tutti gli aspetti della manutenzione, inclusi quelli relativi alla qualità, all’ambiente, alla salute e sicurezza sul lavoro, alla gestione anti-corruzione, alla responsabilità sociale.

La norma ISO 37301 rappresenta in questo senso un valido alleato, dal momento che fornisce le linee guida per un efficace Sistema di Gestione della compliance;

3. Manutenzione preventiva: adottare una strategia di manutenzione preventiva per identificare e quindi risolvere tempestivamente eventuali problemi di conformità. Il concetto è semplice e i vantaggi sono evidenti: se gli asset sono correttamente manutenuti a livello preventivo e predittivo, questi lavoreranno di più, con una diretta riduzione dei guasti;

4. Monitoraggio costante: utilizzare sistemi di monitoraggio continuo permette di tenere traccia delle prestazioni dei processi di manutenzione e rilevare eventuali deviazioni dalla conformità. Un programma di compliance credibile richiede un impegno che si protrae nel tempo, in modo da poter analizzare il ciclo di vita e lo stato degli asset di manutenzione;

5. Formazione del personale: il ruolo del personale è fondamentale, quindi l’Organizzazione dovrebbe garantire un’adeguata formazione per una consapevolezza delle normative applicabili. L’obiettivo è quello di fare in modo che il personale si senta parte attiva di un Sistema di Gestione della manutenzione;

6. Audit regolari: condurre verifiche di audit regolari per monitorare il rispetto delle normative, oltre che identificare eventuali aree di non conformità è di fondamentale importanza per risolvere le criticità che possono verificarsi nel tempo. Evoluzioni e cambiamenti nell’Organizzazione necessitano aggiornamenti al fine di garantire il rispetto della compliance e continuare a essere competitivi;

7. Coinvolgimento delle parti interessate: coinvolgere attivamente tutte le parti interessate, inclusi proprietari e autorità di regolamentazione, nella gestione della compliance. Per essere valutato in maniera efficace, il rispetto della compliance non può limitarsi al solo contesto interno di un’Organizzazione, ma deve essere assicurato anche dai partner esterni che si interfacciano con essa, come i fornitori oppure i subappaltatori.

In conclusione, la gestione della compliance nella manutenzione è essenziale per affrontare le nuove sfide del mercato; questo richiede un approccio olistico, che includa l’analisi approfondita delle normative, l’implementazione di Sistemi di Gestione integrati e il coinvolgimento attivo di tutte le parti interessate.

Solo così sarà possibile garantire, da un lato, la conformità normativa e, dall’altro, ridurre i rischi associati alla gestione della manutenzione.

Il CNIM è da sempre, e per statuto, impegnato nella diffusione della cultura manutenzione.

E come ci ricorda il nostro Presidente, il Prof. Misiti, “La Manutenzione è una questione di civiltà”.

Di Fabio La Porta e Alessandro Giurelli

La manutenzione degli asset: un fattore strategico per la sostenibilità

La manutenzione e la sostenibilità sono due concetti accomunati da un obiettivo comune: massimizzare l’efficienza degli asset.

La norma ISO 55000:2014 ci fornisce una definizione puntuale di “asset”, ovvero: “un elemento, una cosa o un’entità che ha un valore potenziale o effettivo per un’Organizzazione. Il valore varia a seconda delle Organizzazioni e dei loro stakeholder e può essere tangibile o intangibile, finanziario o non finanziario”.

Al fine di ottimizzare un asset, è necessario mettere in atto un’analisi del suo ciclo di vita, operando un’attenta valutazione dei rischi. Ciascun asset è, infatti, esposto a numerose minacce che possono incidere negativamente sulla sua efficienza e sulla sua effettiva durevolezza.

La manutenzione è uno strumento di fondamentale importanza: non si tratta solamente di un costo, ma di una opportunità in grado di avere effetti positivi su tutte le dimensioni economiche e operative di un’Organizzazione.

L’errore in cui incorrono spesso le Organizzazioni è quello di pianificare gli interventi di manutenzione sulla base delle seguenti tempistiche:

  • Interventi a guasto: spesso numerosi e direttamente conseguenti alle altre due tipologie di interventi;
  • Interventi programmati: ridotti al minimo indispensabile e in maniera non sempre puntuale;
  • Interventi straordinari: anch’essi ridotti al minimo indispensabile, eseguiti mediamente due volte all’anno.

L’effetto che si ottiene a seguito di questo comportamento è quello di sfruttare al limite gli asset, riducendo drasticamente la loro durata ed efficienza e incidendo negativamente sui costi collegati come, ad esempio, quello energetico.

Manutenzione e sostenibilità: i benefici

Una corretta gestione delle fasi di manutenzione dovrebbe prendere in considerazione gli indicatori MTBF (Mean Time Between Failure) e MTTR (Mean Time to Repair).

Il concetto è semplice e i vantaggi sono evidenti: se gli asset sono correttamente manutenuti a livello preventivo e predittivo, questi lavoreranno di più, con una diretta riduzione dei guasti.

Non si tratta di vantaggi esclusivamente legati alle prestazioni o all’ambito economico, ma di assoluta importanza anche rispetto alla sostenibilità. Una corretta manutenzione deve, infatti, identificare le funzioni strategiche non solo per il business aziendale, ma essenziali anche per il contesto ambientale.

In questo ambito, la manutenzione degli asset si rivela un fattore strategico per i seguenti motivi:

  • Previene incidenti sul lavoro e situazioni di danno ambientale;
  • Migliora la produttività, il risparmio energetico, riduce le emissioni di gas serra con benefici in termini di sicurezza, oltre che di protezione dell’ambiente;
  • Prolunga la vita utile degli asset e ottimizza la loro Life Cycle Assessment.

I Sistemi di Gestione della manutenzione

Manutenzione, sicurezza e ambiente devono essere considerati come parte di un’unica vision.

È fondamentale che le Organizzazioni strutturino un vero e proprio Sistema di Gestione della Manutenzione

Un sistema strutturato per la gestione degli asset consente, infatti, di tracciare tutta la vita del singolo macchinario, dal momento dell’acquisto e della messa in servizio fino alla sua dismissione. In questa maniera, risulta possibile monitorare le sue prestazioni nel tempo (prendendo, ad esempio, in considerazione fattori quali le ore di funzionamento, le ore di fermo/indisponibilità, l’incidenza dei guasti, i componenti sostituiti, gli interventi di revamping, i consumi di energia e le emissioni), interfacciandosi sia con i sistemi informativi, di comunicazione (IoT), oltre che con i sistemi amministrativi e di governance (ERP).

Si stabilisce, pertanto, un rapporto diretto tra gli aspetti tecnici della manutenzione e gli aspetti gestionali: il risultato di questo connubio consente alle aziende di essere sia efficienti che sostenibili.

Per ottimizzare gli obiettivi di sostenibilità, un’Organizzazione può fare affidamento su un modello di PAM (Physical Asset Management). Attraverso una gestione efficace delle prestazioni e dei costi a breve/lungo termine, è possibile sia soddisfare, che superare le aspettative di responsabilità sociale, raggiungendo gli obiettivi prefissati dalle parti interessate.

La manutenzione si colloca in una posizione fondamentale all’interno dell’Asset Management,il cui scopo è quello di determinare e implementare modelli organizzativi finalizzati a generare il massimo valore possibile per l’organizzazione degli asset gestiti.

Per essere realmente efficace, una strategia AMMS (Asset Maintenance Management Strategy) deve monitorare, gestire e tenere sotto controllo cinque componenti essenziali:

  1. Identificazione: di tutti gli asset e definizione del loro livello di criticità, così da scegliere la strategia di manutenzione più appropriata;
  • Posizione: per localizzare facilmente gli asset da gestire, soprattutto quando essi non sono localizzati nello stesso luogo; è consigliabile affidarsi alle tecnologie GIS (Geographical Information System) e GPS (Global Position System);
  • Condizione: i report sulle condizioni degli asset possono essere compilati tramite ispezioni visive o attraverso monitoraggio diretto con sensori intelligenti;
  • Manutenzione: tutti i sistemi CMMS (Computerized Maintenance Management System) rappresentano un valido supporto nelle procedure di semplificazione e automatizzazione delle operazioni di gestione della manutenzione;
  • Costo: una volta pianificata una strategia di Asset Maintenance Management sarà possibile massimizzare la vita utile delle risorse, identificando le aree di risparmio e riducendo al minimo i costi di gestione.

Come migliorare la gestione della manutenzione

Abbiamo, quindi, compreso l’importanza di una strategia di Asset Maintenance Management, ma in che modo è possibile ottimizzare i processi di gestione della manutenzione?

  • Effettuando una raccolta di dati: l’utilizzo di software specifici per il tracciamento delle risorse consente di creare un database centralizzato completo di informazioni aggiornate e accessibili. I benefici si riflettono sul processo decisionale e sui costi operativi;
  • Implementando la giusta strategia di manutenzione: una volta completata la prima fase, è possibile individuare una strategia di manutenzione appropriata. Questa consente di ridurre i tempi di fermo non pianificati, migliorando le prestazioni e l’efficienza degli asset e tenendo sotto controllo i costi di manutenzione;
  • Migliorando la gestione dell’inventario: l’utilizzo di una strategia MRO (Maintenance, Repair, and Operations) permette di evitare le scorte in eccesso, ottimizzare gli ordini, ricevere i materiali necessari nel luogo giusto e nel più breve tempo possibile e ridurre i costi di gestione;
  • Monitorando le metriche e i KPI di manutenzione: tenere traccia di questi parametri è di fondamentale importanza per implementare strategie di gestione della manutenzione mirate;
  • Investendo in formazione e nuove tecnologie: una formazione adeguata è necessaria per accrescere le competenze e le capacità del personale. L’utilizzo di tecnologie avanzate permette di ottimizzare la gestione degli asset.

Non si tratta solamente di best practices legate agli aspetti organizzativi aziendali; la manutenzione  è, prima di tutto, una questione di civiltà.

Oggi, più che mai, la civiltà deve essere misurata anche in termini di vivibilità, non solo presente ma anche futura. Lasciare alle prossime generazioni un pianeta capace di soddisfare i loro bisogni, in un’ottica di pieno sviluppo sostenibile, non è solamente un dovere civico, ma una responsabilità di ciascuno di noi.

Di Fabio La Porta e Alessandro Giurelli

La transizione ecologica nella Manutenzione: passi verso un futuro sostenibile

Nell’era attuale la necessità di adottare pratiche sostenibili è diventata cruciale per garantire un futuro ecologicamente equilibrato. Uno dei settori che gioca un ruolo fondamentale in questa transizione è la manutenzione industriale. Il seguente articolo esplorerà come la transizione ecologica sta influenzando il campo della manutenzione e come le aziende stanno adottando nuove strategie per minimizzare l’impatto ambientale delle loro operazioni.

1. Efficienza energetica e uso di risorse rinnovabili

Una delle prime aree di attenzione nella transizione ecologica della manutenzione riguarda l’adozione di soluzioni energetiche più efficienti e sostenibili. Le aziende stanno investendo in tecnologie che riducono il consumo di energia e promuovono l’uso di risorse rinnovabili, come l’energia solare ed eolica. Ciò non solo contribuisce a ridurre l’impatto ambientale, ma può anche portare a significativi risparmi economici a lungo termine.

2. Materiali e prodotti eco-compatibili

La scelta di materiali e prodotti eco-compatibili è diventata un elemento centrale nella strategia di manutenzione sostenibile. Le aziende cercano fornitori che offrano prodotti realizzati con materiali riciclabili o provenienti da fonti sostenibili. Questo approccio non solo riduce l’impatto ambientale, ma promuove anche l’adozione di pratiche commerciali responsabili.

I Criteri Ambientali Minimi (CAM) sono un importante strumento nell’ambito della manutenzione, poiché promuovono pratiche sostenibili e contribuiscono a ridurre l’impatto ambientale delle operazioni di manutenzione. Questi criteri forniscono una guida preziosa per l’adozione di strategie eco-compatibili, consentendo alle aziende di svolgere le proprie attività in modo responsabile e rispettoso dell’ambiente.

Uno degli aspetti fondamentali dei CAM nella manutenzione riguarda la selezione e l’utilizzo di materiali e prodotti che siano amici dell’ambiente. Questo significa privilegiare soluzioni realizzate con materiali riciclabili o provenienti da fonti sostenibili. Inoltre, si incoraggia l’adozione di prodotti che riducano l’impatto ambientale nel loro ciclo di vita, dalla produzione all’uso e allo smaltimento.

I CAM promuovono anche l’efficienza energetica nelle operazioni di manutenzione. Le aziende sono incoraggiate a investire in attrezzature e impianti che minimizzino il consumo di energia e promuovano l’uso di fonti rinnovabili, come l’energia solare o eolica. Questo non solo riduce l’impatto ambientale, ma spesso si traduce anche in notevoli risparmi economici a lungo termine.

3. Manutenzione Predittiva e tecnologie innovative

Nel mondo industriale moderno, la Manutenzione Predittiva e l’adozione di tecnologie innovative stanno rivoluzionando il modo in cui le aziende gestiscono l’integrità dei loro impianti e attrezzature. Questa combinazione di pratiche avanzate non solo aumenta l’efficienza operativa, ma ha un impatto significativo sulla sostenibilità ambientale.

La Manutenzione Predittiva si basa sull’utilizzo di sensori avanzati e algoritmi di intelligenza artificiale per monitorare costantemente lo stato di salute delle attrezzature. Questo permette di identificare potenziali guasti in anticipo, consentendo interventi mirati prima che si verifichino malfunzionamenti critici. Ciò si traduce in una riduzione drastica dei tempi di inattività e dei costi di riparazione.

L’Internet delle Cose (IoT) è un pilastro della Manutenzione Predittiva. I sensori IoT forniscono dati in tempo reale sulla temperatura, pressione, vibrazioni e altro ancora, consentendo ai responsabili della manutenzione di ottenere una comprensione dettagliata delle condizioni operative. Questa informazione è fondamentale per programmare interventi di manutenzione in modo predittivo e preventivo.

Altri strumenti innovativi, come ad esempio la realtà aumentata e la realtà virtuale, stanno emergendo in quanto strumenti efficaci per la formazione e l’assistenza alla manutenzione. Tecnologie di questo tipo permettono ai tecnici di accedere a istruzioni dettagliate e visualizzazioni 3D direttamente sul campo, migliorando, da un lato, l’efficienza delle operazioni di manutenzione e riducendo, dall’altro, la possibilità di errori.

L’implementazione della Manutenzione Predittiva e delle tecnologie innovative porta a un drastico aumento della sostenibilità. La riduzione dei rifiuti dovuta a guasti improvvisi e la pianificazione più efficiente delle attività di manutenzione contribuiscono infatti a minimizzare l’impatto ambientale delle operazioni industriali nel complesso.

La combinazione di Manutenzione Predittiva e Tecnologie Innovative sta rivoluzionando il modo in cui le aziende gestiscono la manutenzione e l’integrità delle loro attrezzature. Oltre a migliorare l’efficienza operativa, questo approccio avanzato è un pilastro fondamentale nella creazione di un ambiente industriale più sostenibile. L’adozione di queste pratiche innovative è un passo verso un futuro in cui la produttività e la sostenibilità si fondono in modo armonioso.

4. Formazione e consapevolezza ambientale

Un elemento critico della transizione ecologica nella manutenzione riguarda la formazione e la sensibilizzazione dei dipendenti. Le aziende stanno investendo in programmi di formazione che educano il personale non solo sulle migliori pratiche ambientali, ma anche sull’importanza di ridurre l’impatto ambientale delle operazioni di manutenzione.

Attraverso programmi di formazione mirati e campagne di sensibilizzazione, i dipendenti acquisiscono le competenze necessarie per adottare pratiche sostenibili e comprendono l’importanza di ridurre l’impatto ambientale delle operazioni di manutenzione. Questo coinvolgimento attivo del personale non solo migliora l’efficienza delle operazioni, ma crea una cultura aziendale che valorizza la protezione dell’ambiente come una priorità centrale. In questo modo, tutti i membri del team diventano agenti di cambiamento nella transizione verso un futuro più sostenibile.

5. Gestione responsabile dei rifiuti

La corretta gestione dei rifiuti è un pilastro della transizione ecologica nella manutenzione, dal momento che non riduce solamente l’impatto ambientale diretto delle operazioni, ma contribuisce anche a promuovere una reale cultura aziendale orientata alla sostenibilità. Le aziende stanno sviluppando sistemi di smaltimento dei rifiuti in grado di minimizzare l’impatto ambientale e promuovere il riciclo. Questo passo cruciale contribuisce a ridurre l’accumulo di rifiuti nocivi e a preservare le risorse naturali.

Un approccio responsabile al tema dei rifiuti non solo preserva le risorse naturali, ma dimostra anche un impegno tangibile nel mitigare l’effetto dell’industria sulla salute del pianeta, ispirando così altre Organizzazioni a seguire l’esempio verso un futuro più verde e prospero.

In conclusione, la transizione ecologica nella manutenzione rappresenta un passo avanti significativo verso un futuro sostenibile. Di fatto le aziende che abbracciano queste pratiche non solo contribuiscono alla conservazione dell’ambiente, ma spesso ottengono anche vantaggi economici a lungo termine. È essenziale che l’industria della manutenzione continui a perseguire queste innovazioni e ad adottare pratiche sempre più sostenibili per garantire un futuro migliore per le generazioni a venire.

Di Fabio La Porta

Strage di Ustica, 43 anni dopo

“𝑶𝒈𝒈𝒊 27 𝒈𝒊𝒖𝒈𝒏𝒐 2023 𝒓𝒊𝒄𝒐𝒓𝒓𝒆 𝒊𝒍 𝒒𝒖𝒂𝒓𝒂𝒏𝒕𝒂𝒕𝒓𝒆𝒆𝒔𝒊𝒎𝒐 𝒂𝒏𝒏𝒊𝒗𝒆𝒓𝒔𝒂𝒓𝒊𝒐 𝒅𝒆𝒍𝒍𝒐 𝒔𝒑𝒂𝒗𝒆𝒏𝒕𝒐𝒔𝒐 𝒆 𝒐𝒓𝒓𝒊𝒃𝒊𝒍𝒆 𝒊𝒏𝒄𝒊𝒅𝒆𝒏𝒕𝒆 𝒂𝒆𝒓𝒆𝒐 𝒅𝒊 𝑼𝒔𝒕𝒊𝒄𝒂” – 𝗔𝘂𝗿𝗲𝗹𝗶𝗼 𝗠𝗶𝘀𝗶𝘁𝗶

La sera del 27 giugno di 43 anni fa, l’𝗮𝗲𝗿𝗲𝗼 𝗗𝗰𝟵 𝗜𝘁𝗮𝘃𝗶𝗮 in viaggio da Bologna verso Palermo, si disintegrò e cadde in mare al largo di Ustica.

⚫ A bordo di esso erano presenti 81 persone che vi trovarono la morte, il nostro pensiero oggi va alle loro famiglie.

Delle cause che portarono alla Strage ce ne parla il Prof. Ing. Aurelio Misiti, Presidente del CNIM, che in prima persona ha coordinato il 𝗰𝗼𝗹𝗹𝗲𝗴𝗶𝗼 𝗽𝗲𝗿𝗶𝘁𝗮𝗹𝗲 𝗱𝗶 𝗨𝘀𝘁𝗶𝗰𝗮, incaricato dal tribunale nel fare chiarezza sulla causa scatenante dell’esplosione, dando così vita ad un nuovo risvolto sull’accaduto.

Per maggiori spunti di riflessione consulta l’articolo 👉 https://bit.ly/3PzlxA2

Progetto di Sistema per il Sud, ponte sullo Stretto, passi avanti per il “viaggio dell’avvenire”

Il 30 maggio 2023 è stata approvata in via definitiva dal Senato, la proposta di Legge riguardante la realizzazione del ponte sullo Stretto di Messina, e l’inizio dei lavori è previsto nel 2024.

Proprio questo è stato l’argomento centrale dell’evento “Progetto di Sistema per il Sud e Ponte sullo Stretto” tenuto a Roma, in via di Pietra, all’interno della sala FICEI il 15 giugno 2023. All’evento coordinato dall’On. Prof. Aurelio Misiti, presidente del CNIM e moderato dal giornalista Mario Primo Cavaleri, hanno partecipato il viceministro alle Infrastrutture On. Galeazzo Bignami, il prof. Adriano Giannola presidente SVIMEZ – Associazione per lo sviluppo dell’industria nel Mezzogiorno – e l’arch. Pier Paolo Maggiora; sono poi intervenuti il prof. Ennio Cascetta, il prof. Risitano e il prof. Randazzo.

Al centro del dibattito l’ormai noto squilibrio tra il Nord e il Sud d’Italia che va inserito all’interno di un contesto storico fermo da decenni: c’è un’enorme differenza di tecnologie, di specializzazione, di manodopera tra il Settentrione e il Meridione, dovuta anche alla migrazione del settore imprenditoriale.

Una distanza destinata a crescere se non si procede con interventi di riqualificazione sul territorio individuati dal prof. Misiti che, già nel 2000, ne parlava all’interno del suo libro “Il viaggio dell’avvenire. I trasporti, gli scambi commerciali, le vie di comunicazione del ventunesimo secolo nel pianeta”. Il PNRR può essere un’occasione per attuare quanto immaginato dall’autore: “Il Mediterraneo potrebbe costituire il cuore dello sviluppo […] il baricentro della regione che oggi chiamiamo Europa, spostato al di qua delle Alpi”.

La Sicilia, per esempio, funge da ponte naturale energetico fra il Mediterraneo, in cui transita il 25% del commercio marittimo, e il resto d’Europa in virtù della posizione geostrategica in cui si trova. L’Italia può mirare a un rafforzamento del suo ruolo nel Mediterraneo per riportare lo sviluppo dell’industria italiana al livello delle grandi potenze europee, grazie a un progetto di riqualificazione per l’intero Meridione.

La realizzazione di un ponte sullo Stretto di Messina, rappresenta solo un elemento, seppur significativo del progetto di Sistema.

Lo Stretto di Messina infatti, rappresenta ad ora l’unico collegamento tra la Sicilia e il resto del nostro Paese: va considerato però che gli attuali tempi di percorrenza, a causa di un mancato collegamento stabile, sono un ostacolo per lo sviluppo industriale e commerciale, non solo per l’Italia ma anche per l’Europa, considerando che questo attraversamento è inserito nel corridoio TEN-T scandinavo-mediterraneo.

La realizzazione del ponte contribuirebbe quindi a diminuire i tempi di percorrenza dello Stretto e a facilitare gli spostamenti in tutto il Sud Italia grazie a un rafforzamento delle linee ferroviarie che comprende:

  • la costruzione di una linea ad Alta Velocità che collega Messina con Reggio Calabria;
  • la realizzazione di un ponte ferroviario tra Augusta, Messina e Palermo;
  • un piano di intervento per lo sviluppo economico del Quadrilatero Napoli-Bari-Taranto-Gioia Tauro.

Durante il dibattito si è sottolineata l’importanza dell’opera architettonica che si andrà a costruire: il progetto approvato prevede un ponte mai realizzato finora dal punto di vista ingegneristico e per la cui realizzazione sarà necessario implementare nuove tecnologie e nuove tecniche di costruzione.

Proprio questo motivo potrebbe rappresentare un limite alla realizzazione: come afferma il prof. Misiti, per questo progetto vi è bisogno di un grande know-how, che proviene dallo studio approfondito della materia e dall’esperienza degli esperti che andranno in azione, insomma vi è bisogno di strutturare in maniera molto approfondita il progetto di realizzazione. Dal punto di vista architettonico, lo stesso rappresenterà il vero e proprio emblema di sviluppo del Paese e un’importante fonte di attrazione turistica.

L’arch. Pier Paolo Maggiora, si è soffermato su alcuni aspetti tecnici della costruzione: sarà un ponte sospeso per permettere il passaggio delle navi al di sotto di esso ma comunque strutturato per permettere, al di sopra, il transito di mezzi pesanti.

Da non sottovalutare però i tempi di realizzazione; anche se, grazie all’utilizzo di tecnologie all’avanguardia e una perfetta organizzazione logistica, la stima si potrebbe ridurre notevolmente: entro il 2032 il ponte potrebbe infatti essere concluso.

È anche importante riprendere le parole del prof. Misiti riguardo la cultura della Manutenzione: se il 40% delle risorse sono investite nella realizzazione dell’opera, il restante 60% sarà utilizzato per la Manutenzione. In Italia purtroppo questo aspetto a volte viene sottovalutato; ma non si possono costruire grandi opere se non verranno messe a disposizione le giuste risorse per effettuarne un corretto mantenimento.

Di Fabio La Porta e Cesira Vitiello, foto di Elisa Pezzi

Progetto di sistema per il Sud e Ponte sullo Stretto, incontro a Roma

Giovedì 15 giugno 2023, promosso da Svimez, Cnim, Arge e Ficei

Il Ponte sullo Stretto, tema dominante nelle ultime settimane dopo l’approvazione della legge che sancisce la volontà del Governo Meloni di procedere alla realizzazione, sarà al centro dell’incontro operativo che si terrà a Roma giovedì 15 giugno 2023 (ore 11 Sala Ficei, via di Pietra 70). Un momento di riflessione proposto da Svimez, Cnim (Comitato nazionale italiano per la manutenzione), Fondazione Arge e Ficei-Consorzi industriali per richiamare l’attenzione sulla straordinaria utilità di un’opera di tale portata che, inserita in un quadro progettuale di sistema, potrà spostare verso Sud il nuovo baricentro geo-economico, segnare la ripartenza delle regioni meridionali e un nuovo inizio di rapporti strategici con i Paesi frontalieri del Nord Africa.


Il tema “Progetto di sistema per il Sud e Ponte sullo Stretto” sarà affrontato sotto vari aspetti da Adriano Giannola (Svimez), Aurelio Misiti (Cnim), Pier Paolo Maggiora (Arge) e dai docenti universitari Enrico Cascetta (Napoli), Antonino Risitano (Catania), Giovanni Randazzo (Messina). L’incontro sarà moderato dal giornalista Mario Primo Cavaleri e introdotto dai saluti di apertura di Antonio Visconti e Andrea Ferroni, rispettivamente presidente e direttore generale di Ficei.


Sono stati invitati il presidente del Consiglio Giorgia Meloni e i ministri Matteo Salvini (Infrasrutture), Raffaele Fitto (Affari europei e PNRR), Nello Musumeci (Mare e protezione civile), i presidenti delle regioni Sicilia e Calabria e i rettori delle Università.


Svimez ha già avuto modo di illustrare al Capo dello Stato Sergio Mattarella le analisi alla base del “Progetto di sistema” compendio di attente valutazioni sull’attuale divario Nord-Sud e sulla necessità di riconsiderare le politiche di sviluppo per recuperare ritardi, riaccendere il secondo motore senza il quale rischierebbe di regredire anche la parte oggi trainante dell’economia nazionale. In quest’ottica di riequilibrio che mette a sistema non solo il quadro trasportistico, nelle sue interrelazioni con porti, aeroporti, autostrade, piattaforme logistiche, si inseriscono aspetti socio-culturali di approccio politico-strategico, di rapporti transfrontalieri che dovranno contribuire a ridare centralità all’area mediterraneo in un disegno di prospettiva. Il Ponte rappresenta l’icona di tutto questo e, proprio per il buon esisto del programma costruttivo riavviato, merita anch’esso qualche ulteriore valutazione, di cui si parlerà ampiamente nell’incontro romano.

Le nuove Linee Guida ANSFISA per la certificazione del personale addetto ai Controlli Non Distruttivi

ANSFISA, Agenzia Nazionale per la Sicurezza delle Ferrovie e delle Infrastrutture Stradali e Autostradali ha pubblicato in data 6 marzo 2023 la nota di emanazione delle nuove Linee Guida per la certificazione del personale addetto ai Controlli Non Distruttivi (CND) nella Manutenzione ferroviaria.

L’importanza dei CND in ambito ferroviario e il valore della cultura della Manutenzione ricoprono un ruolo di primaria importanza per l’Agenzia, che ha individuato nei suddetti criteri tecnici degli elementi fondamentali al fine di garantire un adeguato livello di affidabilità nelle operazioni di Manutenzione nel settore ferroviario.

Le presenti Linee Guida stabiliscono requisiti integrativi rispetto alla UNI EN ISO 9712:2022 Prove non distruttive – Qualificazione e certificazione del personale addetto alle prove non distruttive e rappresentano il cosiddetto “Schema di Certificazione” dedicato al settore della Manutenzione ferroviaria.

La struttura delle Linee Guida

Le nuove Linee Guida mantengono la struttura di suddivisione in due capitoli:

Nel capitolo A sono elencati i criteri generali per il riconoscimento dei Centri di Addestramento del personale addetto ai CND e dei Centri di Esame per la qualificazione e la certificazione del personale medesimo.

Nel capitolo B sono invece stabiliti i criteri per la qualificazione e la certificazione del personale addetto ai CND relativamente all’applicazione dei controlli stessi nel settore della Manutenzione ferroviaria, ad integrazione della norma UNI EN ISO 9712.

L’entrata in vigore delle Linee Guida

Le Linee Guida, ancorché applicabili a partire dalla data della loro pubblicazione, entreranno a tutti gli effetti in vigore a partire dal 6 giugno p.v. e la loro applicazione sarà estesa anche alle reti isolate e ai processi CND che interessano il trasporto pubblico a guida vincolata.

Per tali sistemi il documento prenderà piena applicazione trascorsi 18 mesi dalla data della loro pubblicazione, ovvero entro il 6 settembre 2024.

Le nuove Linee Guida sono consultabili sul sito dedicato dell’Agenzia, mentre nei documenti in consultazione sono state pubblicate le risposte ai commenti ricevuti tramite consultazione pubblica.

CNIM – Comunicato stampa del 16 gennaio 2023

Si è tenuto oggi presso la sede del CNIM a Roma, in via Cavour numero 181, il consiglio direttivo del Comitato. Presente la maggioranza assoluta dei membri, la relazione generale è stata tenuta dal presidente prof. Ing. Aurelio Misiti. Egli si è soffermato sulla profonda crisi che attraversano l’Italia, l’Europa e il mondo, dovuta alla pandemia del COVID-19 e alla guerra in Ucraina. 

Gli sconvolgimenti provocati dai progressi scientifici e tecnologici in termini di intelligenza artificiale, comporta cambiamenti fondamentali. 

Uno Stato come l’Italia, di fronte a ciò, ha necessità di avviare un processo di trasformazione di sviluppo scientifico e tecnologico per poter tenere il passo delle Nazioni più avanzate. Il tentativo fatto dagli ultimi governi, d’intesa con l’Unione Europea, di eliminare le storture interne del territorio soprattutto tra Nord e Sud, si è fondato su un piano detto PNRR – Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza – che comporta investimenti superiori ai 250 miliardi di euro. Sono previste inoltre quattro riforme: P.A., giustizia, semplificazione codice degli appalti pubblici, riforme per la concorrenza.

Lo Stato, nel suo insieme con la sua Pubblica Amministrazione, non ha la preparazione per affrontare e realizzare un piano così gigantesco nei tempi stretti previsti dall’Unione Europea. Pertanto, è indispensabile la mobilitazione di tutte le energie disponibili per aiutare il Governo a non perdere o disperdere i finanziamenti, che hanno lo scopo fondamentale di unire e rendere omogenea l’Italia. 

CNIM, SVIMEZ, ANIMI, ARGE, che hanno elaborato il Progetto di Sistema per il Sud, per l’Italia e per l’Europa, devono rinnovarsi in modo da essere più integrati con lo Stato.

Il giorno 20 febbraio 2023 si terranno le assemblee: una straordinaria per una modifica di statuto e l’altra ordinaria per approvare la relazione generale del C.D. e i bilanci consuntivi 2019-2020-2021-2022 nonché il bilancio preventivo per il 2023.

Cosa farà il CNIM nel 2023:

  1. Autobus a idrogeno;
  2. Camion nettezza urbana idrogeno;
  3. Produzione di idrogeno in Acea con i fanghi, con l’umido dei RSU e con l’inceneritore.

Le tre aziende dovranno unirsi per fare di Roma la città più bella del mondo.

Si potrà cambiare nome al CNIM rendendolo più stabile: Agenzia del Comitato Nazionale per la Manutenzione. 

Il Presidente

Aurelio Misiti

La gestione delle informazioni nella progettazione della Manutenzione, dal CAD al BIM

L’obiettivo di questa breve nota è quello di introdurre, in termini operativi, il tema della gestione della progettazione della Manutenzione attraverso gli strumenti informatici attualmente presenti sul mercato; dal CAD “Computer Aid Design” al BIM “Building Information Modeling.

Già nel corso degli anni ‘60 e ‘70 l’industria (in primis quella automobilistica, navale e aerospaziale) aveva colto le potenzialità derivanti dall’uso dei CAD, in termini di maggiore rapidità di elaborazione e rilavorazione dei progetti, di riduzione degli errori e di avanzamento dell’automazione in fabbrica.

Il mondo delle costruzioni non colse immediatamente le opportunità offerte dai nuovi strumenti e cominciò a utilizzare i sistemi CAD solo nella seconda metà degli anni ‘70; ma una svolta importante arriverà a metà degli anni ‘80 quando agli oggetti grafici diventa possibile associare parametri e regole in grado di offrire rilevanti vantaggi per la gestione del progetto nel suo insieme.

Tali oggetti vengono definiti “intelligenti” per la loro capacità di auto-aggiornarsi, anche in risposta a modifiche apportate dal progettista ad altri oggetti ma tra loro collegati: ne consegue un’automatica propagazione delle modifiche apportate e un aggiornamento continuo e costante dell’intero modello virtuale.

Da qui il passaggio ad oggetti contenenti non solo parametri di tipo geometrico ma anche informazioni specifiche delle entità reali da essi rappresentate. Diventa, così, possibile aggiungere agli oggetti le caratteristiche termofisiche, di costo, di resistenza meccanica, etc., con interrelazioni automatiche tra le modifiche dell’oggetto e l’aggiornamento delle stesse informazioni ad esso collegate.

Dunque, si apre così la strada ad una nuova tecnologia, il BIM appunto.

Autodesk®, azienda leader del mercato dei software, descrive il BIM come “un processo intelligente basato su modelli 3D che fornisce ai professionisti dell’architettura, dell’ingegneria e delle costruzioni (AEC) l’intuizione e gli strumenti per pianificare, progettare, costruire e gestire in modo più efficiente edifici e infrastrutture”.

Bisogna specificare tuttavia che il BIM non è solo uno strumento di progettazione o di visualizzazione, si tratta bensì di un processo che permette la creazione di un modello contenente tutte le informazioni relative al ciclo di vita dell’edificio e ai suoi requisiti di Manutenzione.

Una caratteristica fondamentale della metodologia BIM è l’interoperabilità, ovvero la condivisione dei dati tra tutti gli attori coinvolti (partendo dai progettisti dell’edificio all’impresa di costruzione, fino ai proprietari e ai gestori dell’immobile), al fine di inserire, estrarre, aggiornare o modificare le informazioni nel modello.

La condivisione dei dati porta numerosi vantaggi; tra questi i dieci più significativi sono:

1. Riduzione della duplicazione dei dati;

2. Controllo e verifica delle incongruenze tra i diversi modelli;

3. Ottimizzazione di costi e risorse;

4. Aggiornamento del modello complessivo;

5. Interoperabilità;

6. Migliore collaborazione tra i team;

7. Cicli di vita del progetto più brevi;

8. Gestione migliorata delle strutture;

9. Siti di costruzione più sicuri;

10. Visualizzazione del progetto sovralimentato.

Si tratta di vantaggi così tangibili che molti Paesi hanno reso obbligatorio l’uso del BIM per qualsiasi nuovo progetto di costruzione e infrastruttura finanziato con fondi pubblici.

Anche in Italia ci si sta muovendo verso l’obbligo dell’uso delle metodologie BIM per le opere pubbliche. Dal 1° gennaio 2022, infatti, tutte le opere pubbliche con valore pari o superiore a 15 milioni devono essere sviluppate con il metodo BIM, mentre dal 2025 la soglia scenderà ad un valore pari o superiore a 1 milione di euro.

È per questo che oggi sono numerosi gli operatori economici (società di progettazione, grandi imprese, stazioni appaltanti, piuttosto che committenze pubbliche e private, ecc.) che si sono “evolute al BIM”, investendo nell’innovazione e nella digitalizzazione.

La Manutenzione nel processo edilizio (le diverse tipologie di Manutenzione)

La sesta dimensione del BIM (6D), riguarda il facility management e permette di ottimizzare la gestione e la Manutenzione dell’oggetto edilizio per tutto il suo ciclo di vita, fornendo informazioni sui singoli componenti: dagli impianti tecnici alle finiture.

La programmazione della Manutenzione in fase di progettazione è senza ombra di dubbio una delle maggiori potenzialità del BIM.

La norma UNI EN 133006:2018 definisce la Manutenzione come “combinazione di tutte le azioni tecniche, amministrative e gestionali, durante il ciclo di vita di un’entità, destinate a mantenerla o riportarla in uno stato in cui possa eseguire la funzione richiesta”.[1]

La norma definisce anche il concetto di strategia di Manutenzione, ovvero il metodo gestionale utilizzato allo scopo di raggiungere gli obiettivi della Manutenzione.

In tal senso le tipologie di Manutenzione sono indispensabili per massimizzare la produttività e l’efficienza e se ben strutturate sono determinanti per il successo di un business.

Una buona Manutenzione, intesa non solo come un semplice insieme di azioni tecniche correttive ma altresì come piano per l’ottimizzazione generale di un’impresa, rappresenta infatti un vero valore aggiunto che consente di offrire un servizio completo e di qualità.

Le tipologie della Manutenzione

Le tipologie di Manutenzione possono essere così suddivise e riassunte[2]:

La Manutenzione ordinaria è l’insieme degli interventi che riguardano opere di riparazione, rinnovamento e sostituzione delle finiture necessarie a integrare o mantenere in efficienza gli impianti tecnologici esistenti. L’obiettivo è quindi intervenire su un guasto o garantire il ciclo di vita utile di un asset.

La Manutenzione straordinaria, invece, è l’insieme delle opere e delle modifiche necessarie per rinnovare e sostituire componenti anche strutturali, oltre che a realizzare e integrare i servizi tecnologici aggiuntivi. Si occupa quindi di prevenzione e miglioramento.

La Manutenzione migliorativa rientra nella Manutenzione straordinaria ed ha l’obiettivo di mantenere le prestazioni delle attrezzature apportando miglioramenti tecnici a un intero impianto o a singole unità. Questa strategia manutentiva, quindi, non deriva da guasti o malfunzionamenti, ma risponde a esigenze di miglioramento.

La Manutenzione correttiva prevede che si intervenga per riparare un guasto, sostituire un componente o fare attività di revisione solo quando il danno si è già verificato. Comprende tutte le azioni necessarie a ripristinare le funzioni originarie del sistema e ha lo scopo di rimuovere ogni problema che impedisca il funzionamento o la riduzione delle prestazioni occupandosi delle usure.

La Manutenzione preventiva ha l’obiettivo principale di estendere il ciclo di vita degli asset, in modo da prevenire un eccessivo degrado qualitativo e quantitativo della produzione. Questo obiettivo è raggiunto tramite ispezioni periodiche o sulla base di particolari metriche scelte dal manutentore, in modo tale che interventi di prevenzione necessari ma non ancora palesi possano essere effettuati prima che si verifichi un’usura eccessiva o un guasto.

La Manutenzione predittiva è una Manutenzione preventiva effettuata a seguito dell’individuazione e della misurazione di uno o più parametri e dall’estrapolazione secondo modelli appropriati del tempo residuo prima del guasto.

Manutenzione controllata: è un particolare tipo di Manutenzione preventiva che permette di assicurare una qualità del servizio desiderata mediante l’applicazione sistematica di tecniche di analisi che usano mezzi di supervisione centralizzata e/o un campionamento per minimizzare la Manutenzione preventiva e ridurre la Manutenzione correttiva.

Con Manutenzione secondo condizione si intendono tutte quelle azioni di prevenzione subordinate al raggiungimento di una determinata condizione di un asset che può variare per metriche quali il chilometraggio, numero di battute, tempo di lavoro etc.

L’attività di Manutenzione, in tutte le sue tipologie, è senz’ombra di dubbio un elemento fondamentale nel processo edilizio, si ritrova infatti a coprire un ruolo di primo piano.

L’ottimizzazione di tale attività si rende dunque necessaria ed ancora una volta possiamo ricollegarci al BIM e al suo utilizzo. In questo senso, il modello progettuale (BIM) evolve in quello costruttivo Plan Implementation Model (PIM) e alla fine in quello gestionale Asset Information Management (AIM) lungo la vita del progetto, andando ad arricchirsi di informazioni e dati utili al Facility Manager nelle sue attività di esercizio e Manutenzione degli asset[3].

Un committente deve poter controllare l’intero processo progettuale e costruttivo con l’obiettivo di ottenere tutti i dati e le informazioni necessarie a gestire l’immobile. Come tale ha bisogno di una soluzione che consenta di lavorare in maniera coordinata in un unico ambiente progettuale e su un unico modello, dando la possibilità a tutti i soggetti coinvolti nel processo di essere sempre aggiornati e informati sul suo sviluppo e garantendo indipendenza e la trasparenza, anche come elemento probante in caso di dispute o contenziosi.

Così come per la redazione di un piano manutentivo, anche per la messa in pratica di programmi manutentivi esistono software in grado di dialogare con gli stessi strumenti innovativi per il BIM, con i quali vengono implementati i modelli, partendo dalle informazioni CAD, ed integrandole con un piano di acquisizione delle trasformazioni intervenute, negli anni, al fine di restituire il reale stato di fatto dell’opera che ci si prefigge di gestire[4].

Tradizionalmente questi prodotti devono incrociare informazioni grafiche e dati, ossia planimetrie del costruito ubicative di oggetti manutentivi e schede tecniche degli stessi, anagrafiche aziendali di utenti, manutentori, fornitori etc.

Le aziende fornitrici di software BIM authoring spesso forniscono una serie di servizi e programmi che dialogano tra loro utilizzando formati di condivisione dati sviluppati dalle stesse aziende e quindi non utilizzabili su altre piattaforme di altre compagnie.

Per ovviare a ciò, e rendere effettiva l’interoperabilità, sono stati sviluppati dei formati pubblici, i cosiddetti “formati aperti”, utilizzabili da tutti i software e alle basi delle normative vigenti in campo BIM; il più comune ed utilizzato di questi formati in ambito BIM è quello IFC, acronimo di Industry Foundation Classes.

Lo standard IFC codificato dalla norma ISO 16739-1:2018[5][6][7][8], è uno schema di dati e un formato di interscambio per BIM che si pone l’obiettivo di descrivere in maniera esaustiva le componenti geometriche e la semantica caratteristica di tutto il settore delle costruzioni.

L’iniziativa IFC nasce nel 1994, quando un consorzio industriale investì nella realizzazione di un apposito codice informatico (insieme di classi C++) in grado di supportare lo sviluppo di applicazioni integrate; dodici società statunitensi aderirono al consorzio, che prese il nome di “Industry Alliance for Interoperability”[9].

Nel settembre 1995 il consorzio aprì l’adesione a tutte le parti interessate e nel 1997 cambiò il suo nome in “International Alliance for Interoperability”.

La nuova “Alleanza” fu ricostituita come Organizzazione no profit, con l’obiettivo di sviluppare e promuovere l’Industry Foundation Classes (IFC) come modello di dati neutro, utile a raccogliere informazioni relative a tutto il ciclo di vita di un edificio e dei suoi impianti.

Dal 2005 l’Alleanza porta avanti le proprie attività tramite BuildingSMART, un processo di certificazione che assicura la correttezza dell’importazione ed esportazione dei propri dati IFC, con la garanzia di conformità agli standard.

Il formato IFC è aperto, libero e ben documentato. Fornendo un’interfaccia IFC per l’esportazione e l’importazione conforme allo standard IFC, i fornitori di applicazioni software sono in grado di fornire l’interoperabilità con centinaia di altri strumenti ed applicazioni BIM.

IFC 4.3, che è l’ultima versione di IFC creata da buildingSMART International e disponibile a copertura dei domini delle ferrovie, strade, ponti e porti, ha intrapreso il percorso ISO [acronimo di International Organization for Standardization – N.d.R.]. Il piano prevede che diventi la nuova versione dello standard ISO 16739 entro il primo trimestre del 2023.

Questo piano è attuabile grazie ad un protocollo di intesa, firmato tra buildingSMART International e ISO, che prevede la creazione e la Manutenzione degli standard per l’openBIM all’interno dell’associazione internazionale BuildingSMART e la loro approvazione da parte dell’ISO con modalità più snelle e rapide del solito. Conseguentemente il Comitato Europeo di Normazione (CEN) e l’Ente Italiano di Unificazione (UNI) recepiranno lo standard ISO.

Dal DWG all’IFC 4.3

Dopo il rilascio ufficiale, da parte di BuildingSMART, dello standard IFC 4.3, Autodesk® è stata molto veloce nello sviluppare questa estensione, che per ora è disponibile per la versione 2022 di Civil 3D, non ancora per la 2023, che verrà rilasciata in breve tempo.

Di seguito la procedura indicata da Autodesk® per l’esportazione nel formato IFC:

  1. Fare clic su Esporta IFC Trova. In alternativa, nella riga di comando, immetti ifcexport;
  • Nella finestra di dialogo Esporta in IFC, specificare le seguenti proprietà:

Per Numero progetto, immettere un numero di progetto per il disegno.

Per Nome progetto, modificare il nome se necessario. Per impostazione predefinita, il nome del progetto è il nome del disegno esportato;

  • Fare clic su Sfoglia per modificare la posizione predefinita di esportazione del file IFC e fare clic su Salva.

Nota: se si desidera esportare in un file zip, selezionare il file IFCZIP (*.ifczip) dall’elenco a discesa Tipo file;

  • In File di disegno selezionare i file di disegno da esportare. Gli xrif contenuti nel disegno esportato sono elencati nella vista ad albero sotto il nome del disegno. Se sono stati scaricati nel disegno, sono ombreggiati nella finestra di dialogo Esporta in IFC. Se si seleziona un xrif al livello superiore, vengono selezionati anche tutti gli xrif nidificati all’interno di questo disegno. Espandere il livello superiore e selezionare gli xrif singolarmente, se necessario;
  • Se si desidera modificare le etichette per gli xrif, fare clic sull’etichetta nella colonna Struttura IFC e selezionare un livello diverso dall’elenco a discesa oppure inserire il testo nel campo. Se si desidera che gli xrif vengano visualizzati come un livello distinto all’interno del file IFC, specificare diverse etichette di identificazione in Struttura IFC. È possibile specificare lo stesso identificatore, ad esempio Level (1), per più xrif per combinare gli oggetti all’interno di tali xrif in un IfcBuildingStorey.

Nota: se i disegni sono stati assegnati ai livelli come parte di un progetto di AutoCAD Architecture, per impostazione predefinita viene visualizzata un’etichetta corrispondente in Struttura IFC. In caso contrario, vengono mappati al Livello 1 per impostazione predefinita;

  • Immettere una descrizione del file per l’esportazione. È possibile selezionare più file di disegno e modificare contemporaneamente tutte le etichette o le descrizioni;
  • Se necessario, fai clic su Opzioni per specificare le opzioni di esportazione, ad esempio la versione dello schema da utilizzare e i tipi di oggetto da esportare.
  • I sistemi di coordinate del disegno possono essere esportati utilizzando la versione dello schema 4 o 4×1. Se a un disegno viene assegnato un sistema di coordinate, le informazioni vengono incluse automaticamente nell’esportazione IFC. Quando il file IFC viene importato, al disegno principale creato viene assegnato il sistema di coordinate trovato nel file IFC importato;
  • I tracciati di Autodesk Civil 3D® e i relativi dati del profilo del terreno finito associati possono essere esportati utilizzando la versione dello schema 4×1.

Nota: per ogni tracciato, viene esportato un singolo profilo terreno finito.

Se necessario, fare clic su Risorsa e assegnazione per creare istanze IFC e definire le proprietà della risorsa;

  • Fare clic su Esporta.

Al momento risulta possibile effettuare la conversione in maniera diretta solamente attraverso Civil 3D 2022®[10], esistono tuttavia soluzioni alternative.

È bene specificare che i metodi che verranno descritti non esportano il file DWG in IFC 4.3, ma bensì in IFC di versioni precedenti, che variano in base al metodo utilizzato. È sempre possibile utilizzare un IFC non aggiornato su un programma compatibile con la versione 4.3. In questo caso però, bisogna mettere in conto un’eventuale perdita o modifica dei dati presenti nel progetto in fase di conversione.

Autodesk® mette a disposizione altri software in grado di convertire un file DWG in un file IFC. È infatti possibile l’utilizzo di uno dei set di strumenti AutoCAD® che include la funzionalità di esportazione IFC; parliamo di AutoCAD Architecture®[11] e AutoCAD MEP®.

Le altre due soluzioni suggerite da Autodesk® sono Revit® e Navisworks®. Il primo supporta infatti il formato di file DWG e l’esportazione in IFC ed è possibile, inoltre, aprire il file DWG in Navisworks® ed utilizzare un modulo aggiuntivo di terze parti per l’esportazione nel formato IFC da Navisworks®.

Esistono anche alternative gratuite ai programmi sviluppati da Autodesk®; tra queste la più diffusa è quella di usBIM.viewer+®, programma gratuito sviluppato dall’azienda italiana ACCA®.

A cura di Fabio La Porta, Matteo Brundia, Simona Giangreco e Marvina Shehu


[1] Metodologia BIM e interoperabilità per il facility management in ambito MEP – consultabile sul sito: https://webthesis.biblio.polito.it/17160/1/tesi.pdf

[2] https://www.Manutenzione-online.com/articolo/la-certificazione-accreditata-in-conformita-alla-uni-en-156282014/

[3] https://www.infocad.fm/news-eventi/evoluzione-del-piano-manutentivo-di-un-opera-nel-processo-bim

[4] https://www.descor.com/news-eventi/evoluzione-del-piano-di-Manutenzione-di-un-opera-nel-processo-bim

[5] Metodologia BIM e interoperabilità per il facility management in ambito MEP – consultabile sul sito: https://webthesis.biblio.polito.it/17160/1/tesi.pdf

[6] Lo standard ISO 16739 Indutry Foundation Classes (IFC) for data sharing in the construction and Facility Management industries – Part 1:data Schema: https://www.iso.org/standard/70303.html

[7] https://www.autodesk.it/products/autocad/included-toolsets/autocad-architecture

[8] https://www.bimportale.com/autocad-civil-3d-2022/

[9] https://biblus.acca.it/focus/ifc-cose-e-quali-sono-i-vantaggi/

[10] https://www.bimportale.com/autocad-civil-3d-2022/

[11] https://www.autodesk.it/products/autocad/included-toolsets/autocad-architecture

Infortunio per mancata manutenzione su funi e catene: colpevoli il DL e l’RSPP

Datore di lavoro e RSPP sono stati giudicati colpevoli di omessa manutenzione e controllo su funi e catene.

È questo il verdetto della Cassazione Penale nella sentenza del 28 Novembre 2022, in merito all’infortunio di un lavoratore in quota che operava all’interno di un cestello munito di cinture di sicurezza e coadiuvato dal basso da un collega.

L’incidente si è verificato quando le catene che consentivano alla piattaforma di muoversi verticalmente si sono spezzate, facendo precipitare la stessa. Fortunatamente, poiché il lavoratore indossava le cinture di sicurezza, non è stato sbalzato fuori, ma il contraccolpo della discesa gli ha provocato la frattura di entrambe le gambe.

Secondo l’accusa, il datore di lavoro e il responsabile del servizio di prevenzione e protezione, sarebbero responsabili dell’infortunio per aver omesso di disporre le “visite di controllo trimestrali su funi e catene” e non hanno rispettato l’obbligo di legge, specificato nell’articolo 71, comma 3 del Decreto Legislativo numero 81 del 9 aprile 2008. 

La sentenza d’appello ha stabilito che l’art. 71, comma 3, del D.Lgs. 81/08, secondo cui le attrezzature di lavoro, elencate nell’Allegato VII al medesimo decreto, siano sottoposte a verifiche periodiche volte a valutarne lo stato di conservazione e di efficienza ai fini della sicurezza, avesse una valenza più generale rispetto al caso in esame. 

Ma in ragione di quanto previsto nell’Allegato VII del Decreto, la norma impone comunque l’adozione di tutte le cautele necessarie a eliminare o almeno a ridurre i rischi connessi alle attrezzature da lavoro. 

Il tribunale ha quindi concluso che il datore di lavoro e l’RSPP dovessero essere ritenuti responsabili del reato penale per «aver consentito l’impiego» della piattaforma sebbene la stessa non fosse stata «adeguatamente monitorata».

La manutenzione è una questione di civiltà. Prendersi cura del posto di lavoro è segno di buona condotta. Questo episodio ha dimostrato, ancora una volta, la necessità di valutare e confermare che tutti i componenti siano in ordine per garantire la massima sicurezza nell’ambiente di lavoro.

Qualificazione tecnici manutentori antincendio: i nuovi chiarimenti dal Dipartimento dei Vigili del fuoco

Prorogate al 25 settembre 2023 le disposizioni relative alla qualificazione dei tecnici manutentori antincendio previste dall’art. 4 del D.M. 1° settembre 2021.

Tutte le altre disposizioni stabilite dal medesimo D.M. e, in particolare, dall’articolo 3 – “Controlli e manutenzione degli impianti e delle attrezzature antincendio” e dall’articolo 5 – “Abrogazioni” sono entrate in vigore il 25 settembre u.s.

A partire da tale data, è necessario far riferimento ai criteri generali per manutenzione, controllo periodico e sorveglianza di impianti, attrezzature ed altri sistemi di sicurezza antincendio previsti nell’ Allegato I al decreto 1° settembre 2021.

La circolare n. 16579 stabilisce inoltre la predisposizione, a cura del datore di lavoro, del registro dei controlli.

I corsi di formazione per i manutentori

C’è tempo fino al 31 dicembre 2022 per completare i corsi erogati da enti di formazione accreditati validi per l’ammissione diretta alla prova d’esame orale prevista al punto 4.4 del par. 4 dell’ Allegato II al decreto 1° settembre 2021.

A questo proposito, ricordiamo che i suddetti corsi devono essere stati iniziati e pianificati entro il 25 settembre 2022, data di entrata in vigore del D.M. 1° settembre 2022.

Con successiva nota saranno chiarite le modalità di svolgimento di tale specifica modalità di effettuazione della prova di esame.

A far data dai primi mesi del 2023, saranno comunicate le procedure e il database delle domande di esame necessarie per l’effettuazione delle prove degli esami di qualificazione dei manutentori da effettuarsi presso le strutture del Corpo.

SIMC: considerazioni sull’informatizzazione della Manutenzione

La tendenza oggi per le piccole e grandi imprese è l’informatizzazione dei processi aziendali. In Italia con la norma UNI 10584:1997 viene indicato che il sistema informativo di Manutenzione può essere digitalizzato. A questo riguardo, in ambito aziendale si utilizza sempre più spesso il Sistema Informativo di Manutenzione Computerizzato denominato SIMC. Esso offre ampia flessibilità e possiede un ottimo potenziale di cui possono beneficiare le organizzazioni di ogni dimensione e settore.

Oggi si conoscono tre diverse metodologie usate nell’industria ovvero i modelli reattivi, preventivi e predittivi.

La Manutenzione reattiva si sostanzia in una risposta al malfunzionamento o guasto che si è verificato e che richiede un intervento immediato. Questo modello ha come vantaggio l’assenza di costi iniziali ma i downtime, essendo imprevisti, hanno una durata maggiore.

La Manutenzione preventiva viceversa si incentra sul tempo di utilizzo e sull’intensità del lavoro svolto dall’asset. Durante la programmazione degli interventi si selezionano i momenti in cui i downtime abbiano costi minori, abbattendo i costi di Manutenzione ed effettuando una pianificazione minuziosa.

La Manutenzione predittiva rappresenta invece una novità assoluta per l’industria. Le Intelligenze Artificiali dimostrano tutta la loro duttilità nell’ambiente industriale. Attraverso un processo di Machine Learning, esse sono in grado di interpretare quantità enormi di dati e produrre output. Da questo si ricaveranno le principali indicazioni in merito alla Manutenzione predittiva. Sebbene il costo iniziale possa scoraggiare l’investimento, i principali soggetti operanti nel settore MRO hanno riscontrato una riduzione dei downtime non programmati e un incremento dei margini operativi.

Il SIMC contiene non solo informazioni tecniche ma anche amministrative, permettendo di gestire automaticamente vari processi. Qualora questi dovessero necessitare di autorizzazioni, queste possono essere richieste direttamente dal SIMC. Esso include canali di comunicazione esterna e diversi livelli di accesso. Ciò permette una chiara definizione dei ruoli e una più efficace verifica delle prestazioni.

I benefici di possedere le diverse anagrafi facilmente accessibili e sotto un unico sistema sono utili per le aziende con Sistemi di Gestione ISO. L’implementazione di un SIMC rende più semplice il mantenimento e la conservazione di informazioni documentate, l’individuazione del campo di applicazione e la soddisfazione di altri requisiti. Un SIMC può contribuire a ridurre il numero di non conformità rilevate in fase di audit e i costi di quest’ultimo.

Informazioni di carattere economico risultano utili nella pianificazione delle strategie di business. L’implementazione di un SIMC permette di effettuare in modo più efficiente i controlli tecnico-economici riguardanti la Manutenzione stabilendo KPI appropriati e individuando quali piani di Manutenzione presentino sostanziali margini di miglioramento. In questo modo risulta inoltre più semplice rilevare eventuali problematiche.

Ciò comporta una riduzione dei rischi se valutata attraverso il metodo FMEA. L’impresa può infatti aumentare la probabilità di rilevamento di eventuali guasti prima che questi causino danni.

Il SIMC contiene informazioni utili alla gestione operativa dei processi di Manutenzione. Istruzioni operative, segnalazioni e richieste possono essere utili ai fini della tutela della sicurezza e salute del personale. L’archivio storico permette di individuare i materiali che hanno un impatto economico rilevante, permettendo di applicare strategie di hedging.

Le informazioni contenute nel SIMC si rivelano inoltre utili in caso di vendita degli asset e operazioni di M&A. Un’evidenza oggettiva della corretta esecuzione degli interventi di Manutenzione nel tempo e del buono stato attuale dell’edificio può infatti essere una leva negoziale.

L’implementazione di un SIMC contribuisce quindi a ridurre l’ asimmetria informativa e a rispondere ad eventuali quesiti circa la Manutenzione e lo stato dei propri asset posti da qualsiasi parte interessata.

Infine, un SIMC risulta migliore rispetto ad una soluzione tradizionale anche per alcuni aspetti di sicurezza dei dati e di tutela ambientale. A differenza degli archivi cartacei, i database digitali non sono soggetti a rischi di perdita dei dati per cause naturali come incendi e alluvioni. L’ accesso controllato agli archivi digitali garantisce la riservatezza dei dati ivi contenuti. Avendo a disposizione tutti gli archivi digitalizzati vengono inoltre eliminati tutti i costi relativi alla gestione degli archivi fisici.

Viste quindi le potenzialità dello strumento e considerato che l’implementazione di un SIMC avviene generalmente una sola volta, le imprese dovrebbero considerare le risorse necessarie per l’implementazione come un investimento piuttosto che un costo.

Tutto il mondo dell’industria sta seguendo da vicino gli sviluppi tecnologici degli ultimi anni ed ha visto nelle IoT e nelle IA un efficiente strumento per una costante ottimizzazione dei processi. Per queste ragioni i SIMC sono qualcosa a cui le aziende dovrebbero quantomeno volgere uno sguardo.

A cura di Fabio La Porta, Giuliano Guarna e Alessio Campagna

La ricchezza della Magna Grecia: Reggio Calabria – Taranto

Gli emigranti partiti dalla Grecia hanno occupato i territori più idonei alle loro esigenze di vita, hanno fondato le città in tempi diversi tenendosi sempre in contatto con la madre patria, osservando i riti religiosi.

Le città più importanti dal punto di vista economico e culturale sono state Reggio, Crotone, Sibari, Taranto, Locri e Caulonia.

Dovunque hanno lasciato resti di opere edili e statue e altre sculture di ottimo livello. Crotone ha avuto la scuola di Pitagora che, oltre a formare la classe dirigente romana, si è formata nelle scienze e nella filosofia. Pitagora e i suoi discepoli si sono spostati anche a Reggio, dando un grande contributo culturale alla città.

I resti archeologici più importanti si sono trovati a Locri, dove c’è un buon museo: città, dove è fiorita una scuola di diritto che ha espresso Zaleuco, che ha scritto un importante codice, forse il primo del mondo antico. Tuttavia, non potendosi espandere lungo la costa, pressata a sud da Reggio e a nord da Crotone, dominante fino alla vicina Caulonia, egli ha intrapreso la traversata dell’appennino fondando le città di Metauros, Medma e Ipponion sul Tirreno.

Queste città satelliti di Locri hanno sviluppato i commerci sul Tirreno fondando città nel Cilento come Paestum. Tralasciando il periodo storico importantissimo del Medioevo, valorizzando il contributo al pensiero europeo di Gioacchino da Fiore, Tommaso Campanella e Bernardino Telesio e del Rinascimento fino al tempo di Napoleone, possiamo affermare che il Regno Borbonico ha realizzato industrie e infrastrutture con una visione ampia e di lungo periodo: le strade e la ferrovia realizzate da loro e dal governo di Cavour, sono ancora utilizzate, anche se non più rispondenti alle esigenze attuali dei cittadini.

Oggi è necessario che il governo del Paese, la Regione Calabria e i comuni rivieraschi, guardino al futuro di almeno cento anni e si inseriscano in un grande progetto di sistema che possa avviare un secondo motore al Sud per sviluppare l’economia meridionale, che aiuterà l’Italia e l’Europa.

Tutto ciò è possibile perché nel canale e nello stretto di Sicilia passa il 25 % della merce mondiale. I porti di Augusta e di Gioia Tauro possono intercettare una parte considerevole di tale ricchezza e inviarla con scambi intermedi di merci sia a Genova che a Trieste via mare e via terra da Reggio Calabria all’interporto di Bologna. In attesa del ponte sullo stretto, da Gioia Tauro e da Augusta, le merci passeranno sulla ferrovia ionica e adriatica con destinazione, tramite Bologna, il centro Europa in poche ore.

Se questo è il futuro sarà necessario realizzare l’alta capacità sulla linea ionica e adriatica e l’alta velocità su quella tirrenica. Quindi, guardando ai prossimi cento anni va sfruttata tutta la potenzialità della costa Reggio Calabria – Taranto.

La proposta non può guardare solo ai prossimi dieci anni:

  • L’attuale ferrovia ionica va coperta e trasformata in una pista ciclabile di circa 600 km con 35 alberghi adeguando le relative stazioni ormai abbandonate;
  • Va realizzata l’autostrada ionica con i più moderni sistemi di gestione; tale infrastruttura si può fare senza ulteriori investimenti dello Stato. In un prossimo articolo pubblichiamo il progetto di fattibilità e l’impegno dei fondi internazionali per la realizzazione.
  • Accanto all’autostrada va realizzata dallo Stato una moderna ferroviaria a doppio binario per gli scambi commerciali tra Europa, Africa e Asia.

In conclusione, si può osservare che i greci hanno trovato conveniente stabilirsi nel Mezzogiorno d’Italia, per poter commerciare, studiare e alimentare le ricchezze anche della Grecia originaria.

Gli attuali abitanti del Sud vanno stimolati culturalmente, a riappropriarsi di una tale eccezionale convenienza, che apporterà grandi vantaggi al Paese e all’Europa.

                                                                                                                     Di Aurelio Misiti

La cultura dell’acqua per ridurne gli sprechi e combattere la siccità

Intervista all’ing. Sandro Cecili, Comitato Tecnico Scientifico CNIM

Nel corso della sua trentennale carriera professionale, l’ing. Cecili ha ricoperto prestigiosi incarichi all’interno di ACEA S.p.A. occupandosi della gestione dell’esercizio idrico e dei servizi ad esso correlati. Dal 2017 al 2018, l’ing. Cecili è stato Presidente di ACEA ATO 2. Abbiamo il piacere di intervistarlo in merito all’emergenza idrica nel nostro Paese.

Buongiorno ingegnere e grazie per aver accettato il nostro invito. La siccità registrata in Italia a giugno e luglio 2022 ha riportato nelle cronache il tema della scarsità di acqua; eppure l’Istat ha calcolato che nel 2020, in Italia, sia stata sprecata il 36,2% dell’acqua immessa in rete. Questo dato è la conseguenza dello stato delle tubature, che nel 60% dei casi è stato messo in posa più di 30 anni fa. In che modo una corretta manutenzione può incidere su questi dati?

La manutenzione del parco acquedottistico e delle reti idriche italiane è fondamentale. Si tratta di una manutenzione che deve essere affrontata da un punto di vista ingegneristico, con un approccio molto differente dal passato.

Oggi, grazie all’introduzione diffusissima di sensoristica delle reti, e alla possibilità di acquisire dei dati in continuo, è possibile valutare e selezionare quelle zone in cui ci sono maggiori perdite idriche, per intervenire direttamente e tempestivamente sul punto, ai fini della riduzione della quantità di risorsa idrica che viene persa dal sistema acquedottistico.

Fino a dieci anni fa, era impossibile realizzare queste cose sostanzialmente per due fattori, oggi superati: il costo della sensoristica e l’indisponibilità di reti di comunicazione adeguate.

Grazie alle nuove tecnologie e alla possibilità di poter inserire i sistemi di telecontrollo della lettura e della misura dell’utenza, siamo capaci di fare un raffronto tra la quantità di acqua immessa in rete e le quantità di acqua effettivamente distribuita all’utenza, e conseguentemente, di intervenire direttamente laddove è maggiore questa differenza.

In sostanza, se affrontata da un punto di vista ingegneristico, ovvero attraverso una nuova concezione di approccio, sia delle strutture esistenti, sia dell’implementazione di queste nuove tecnologie, l’evoluzione tecnologica di questi ultimi anni ci mette in condizione di ridurre la percentuale di perdite idriche misurata dall’Istat.

All’interno del territorio italiano, il divario è ancora più netto fra le zone in cui sono presenti società di gestione più virtuose e zone in cui le società di gestione lo sono meno.

Esistono delle valide tecnologie per rimediare a questa situazione di inefficienza idrica?

Assolutamente sì.  Sul territorio italiano sono comunque rare le società in cui il divario fra la quantità di acqua prelevata dall’ambiente e quella effettivamente distribuita all’utenza e consumata dal cittadino, abbiano percentuali limitate fra il 10% e il 20%, valori  questi che, a livello mondiale, caratterizzano una società virtuosa.

A fronte di 900 milioni di euro stanziati dal PNRR per l’efficientamento idrico, Il MIMS ha ricevuto 119 proposte di interventi. Esistono delle tecniche innovative che permettono di ridurre le perdite idriche senza dover sostituire le condotte?

Per quanto riguarda la mia esperienza, l’approccio corretto è rappresentato dall’affrontare questo problema complesso sezionando i vari settori in cui intervenire. Ciò è possibile operando attraverso progetti specifici sul reparto che riguarda il prelievo dell’acqua dall’ambiente, sulla struttura impiantistica che concerne la captazione, il trasporto e l’immagazzinamento dell’acqua, sui serbatoi e sull’ultima parte che riguarda la distribuzione della rete idrica e la consegna all’utenza.

Per ciascuno dei singoli settori: captazione, adduzione, distribuzione e consegna all’utenza, è di fondamentale importanza che si aprano dei cantieri di lavoro, in modo da analizzare quali sono le componenti tecniche che devono essere costantemente o periodicamente controllate.

Il monitoraggio può avvenire in maniera diretta, attraverso del personale predisposto, oppure mediante sistemi di telecontrollo, con sistemi video, con delle visure, in modo tale da percepire immediatamente quelle che sono le variazioni ed intervenire tempestivamente.

Per esperienza so che, fatto 100 il numero delle perdite su una rete, solamente il 40% di queste risulta visibile; il 30% si trova in ambienti ispezionabili dai tecnici (manufatti di manovra, nei centri idrici, nei serbatoi, ecc.) mentre il restante 30% non è visibile.

Questo ordine di grandezza suggerisce che, oltre alla verifica visiva della perdita sulla strada, c’è una percentuale di perdite pari al 60% che deve essere affrontata con una serie di tecnologie oggi disponibili e che, grazie al PNRR, possono essere sviluppate e utilizzate per recuperare questo grande margine sul quale è possibile intervenire.

La “Water Service Divide” è la linea immaginaria che divide il sistema idrico del Paese, con le regioni del sud che si confermano soffrire maggiormente l’inefficienza delle infrastrutture idriche. Esiste una strategia per poter colmare questo divario?

Certamente. Il divario può essere analizzato anche da un punto di vista legato alla vetustà degli impianti e alla quantità di investimenti che sono stati realizzati su di essi. C’è una grossa differenza tra nord e sud Italia riguardo sia alle attività di manutenzione ordinaria che vengono fatte sugli impianti, sia alla quantità degli investimenti effettuati. Soprattutto relativamente a questo secondo punto, sussistono delle differenze enormi.

A livello europeo l’investimento globale su un servizio idrico ha valori medi consigliati di 80-100 euro annui per abitante; in Italia le società più virtuose investono circa la metà. Serve un forte impulso nella realizzazione sia di nuove opere, sia nel mantenimento e nella ristrutturazione di opere preesistenti.

Questo è un problema che si presenta soprattutto nel sud Italia. Se noi prendessimo un elenco delle società più virtuose, ovvero che hanno minori perdite sulla loro rete idrica, scopriremmo che, nel 99% dei casi si tratta di società che appartengono al centro-nord Italia. Sotto questo punto di vista, il PNRR è fondamentale per ridurre il gap infrastrutturale.

Parliamo spesso di responsabilità individuale. Quanto pesa il comportamento di ogni persona nel consumo idrico quotidiano? Quali sono le best practices che il singolo cittadino può mettere in atto per limitare lo spreco d’acqua?

Al di là dei consigli che si possono dare al cittadino sul corretto utilizzo della risorsa idrica, ritengo sia necessario, da un punto di vista generale, diffondere la “cultura dell’acqua”.

Il flusso dell’acque che esce dal rubinetto ha dietro di sé una struttura impiantistica e gestionale molto importante. È necessario diffondere una cultura legata al valore dell’acqua.

Nel momento in cui utilizza quest’acqua, il cittadino deve comprendere che dietro ogni goccia c’è un grande lavoro; ci sono strutture a livello comunale, a livello regionale e a livello statale che lavorano per consentirgli questo flusso.

È un problema culturale; ed è quindi fondamentale avviare un’opera di sensibilizzazione che parta dalle scuole. Bisogna fare in fretta, in quanto stiamo attraversando un periodo che non si era mai verificato prima in forma così grave e con il quale oggi ci ritroviamo a fare i conti.

Esiste tutta una serie di atteggiamenti individuali da adottare per evitare lo spreco idrico, come ad esempio: chiudere il rubinetto quando ci si lava i denti, utilizzare la lavatrice a pieno carico, riciclare l’acqua di cottura della pasta per innaffiare i fiori, piuttosto che gettarla nel lavandino. Altri esempi possono essere: preferire la doccia, piuttosto che il bagno nella vasca e utilizzare i rubinetti frangigetto.

Lo spreco dell’acqua appartiene perlopiù ad una concezione legata anche al fatto che, in molti comuni, l’acqua veniva in precedenza concepita come un bene pubblico e gratuito, senza un valore reale.

Oggi invece, è necessario dare valore all’acqua, sia da un punto di vista ambientale, che da un punto di vista gestionale: fornire ai rubinetti dei cittadini acqua di buona qualità, garantita e potabile, ha un costo gestionale.

Non si può poi infine dimenticare l’utilizzo che facciamo dell’acqua, una volta riversata nelle fogne e negli impianti di depurazione.

Alcune zone del nostro Paese sono ancora carenti sotto l’aspetto infrastrutturale; il PNRR potrebbe intervenire soprattutto nelle regioni del sud Italia, attraverso investimenti nella costruzione e nella manutenzione di impianti fognari, oltre che nella costruzione, manutenzione ed esercizio degli impianti di depurazione.

In questo modo sarebbe possibile reimmettere nell’ambiente acqua depurata e, conseguentemente, ridurre l’inquinamento.

Ringraziamo l’ing. Cecili per il suo contributo. In conclusione, è fondamentale che a livello istituzionale, tecnico e personale si diffonda una cultura di valorizzazione della risorsa idrica; una “cultura dell’acqua” appunto.

Un’economia dei controlli e una visione di sistema per la Manutenzione

Nella storia del nostro Paese i controlli, se organizzati con una visione di sistema, spesso hanno dato certezze socialmente condivise utili per la stabilità e la crescita delle comunità.

È nota l’autorevolezza del curator aquarum per la salute degli acquedotti dell’Urbe in epoca romana, repubblicana e poi imperiale, ma anche del “Magistrato alle acque, nome che riassumeva una serie di magistrature incaricate di sorvegliare e amministrare il regime idraulico del bacino della laguna veneta, nel Governo della Repubblica “Serenissima” tra il 1500 e la metà del XVII secolo. Si può ricordare ugualmente il controllo più che secolare dei Regi Lagni nelle campagne a sud di Napoli, dopo la loro realizzazione agli inizi del Seicento.

In un ben diverso contesto, oggi si avverte una singolare contraddizione. Infatti, negli ultimi decenni si è assistito a un aumento significativo della complessità in molti ambiti, in particolare in quelli economici, sociali, tecnologici; parallelamente si sono diffuse l’attesa di sicurezza e l’esigenza di avere realizzazioni di qualità, con meno corruzione e più trasparenza.

Così l’esigenza dei controlli è aumentata ancora più velocemente anche per l’evoluzione della cultura amministrativa o per l’attesa di integrità e trasparenza, ma il legislatore ha ritenuto di innovare soprattutto all’interno della stessa Pubblica Amministrazione.

In primo luogo, in una visione di sistema, gli interventi per razionalizzarli sono stati poco efficaci per i lunghi tempi di predisposizione e approvazione delle norme, arrivate in ritardo sui nuovi ulteriori cambiamenti del contesto. Lo testimoniano – seguendo lo studio SNA [Scuola Nazionale dell’Amministrazione – N.d.R.] e IRPA [Istituto di Ricerche sulla Pubblica Amministrazione – N.d.R.] Lo stato dei controlli nelle Pubbliche amministrazioni, a cura di Elisa D’Alterio, giugno 2013 – 21 provvedimenti specifici tra Leggi e Decreti Legislativi approvati tra il 1989 e il 2012, ai quali si dovrebbero aggiungere, tra l’altro, direttive, delibere, linee guida, circolari, emanate da Presidenza del Consiglio, Corte dei conti, Ragioneria generale dello Stato, e Commissione indipendente per la valutazione, la trasparenza e l’integrità delle amministrazioni pubbliche.

In secondo luogo, molti cittadini e corpi intermedi hanno mostrato una insofferenza crescente per gli stessi controlli, percepiti sempre di più come sovrastruttura obsoleta e non come una condivisione responsabile per contribuire alla stabilità e alla crescita.

All’interno dell’universo delle verifiche dipendenti da un rapporto con la sfera pubblica, se non altro per gli aspetti finanziari, hanno particolare rilievo quelle collegate con il Territorio, l’Ambiente, le infrastrutture sociali – ad esempio per Sanità, Istruzione, Logistica, Trasporti – i complessi per l’uso pubblico, stadi, aeroporti, teatri, uffici, ecc. – gli stabilimenti per la produzione o distribuzione di beni e servizi, e ancora il patrimonio immobiliare di Stato, Regioni, Enti locali.

Sono beni che richiedono controlli – certamente su progetto, realizzazione, efficacia, efficienza, sicurezza – e per mantenere nel tempo la loro funzionalità sono necessari processi di Manutenzione che, nello scenario descritto, si realizzano dopo scelte caratterizzate dall’incertezza e da possibili responsabilità civili e penali degli amministratori e dei dirigenti degli organismi che autorizzano o attuano detti processi.

In effetti le articolazioni della Pubblica Amministrazione non sembrano ancora ben coordinate tra loro. Sono sempre possibili conflitti di attribuzione, mentre non risulta ancora ben definito l’equilibrio tra i controlli che riguardano soprattutto o la natura e l’efficacia dei servizi collegati alle funzioni amministrative o la regolarità e coerenza degli stessi procedimenti amministrativi.

È un aspetto che interessa in modo particolare la cosiddetta “burocrazia difensiva”; in proposito la rigorosa analisi statistica riportata nell’articolo Indagine sull’amministrazione difensiva di Stefano Battini e Francesco Decarolis (Rivista Italiana di Public Management – Vol 3, N.2, 2020) riporta che secondo i RUP [Responsabili Unici del Procedimento – N.d.R.] intervistati “…una quota tra il 30 e il 50 percento delle decisioni sia individuali che della stazione appaltante di provenienza vengano prese in ottica difensiva.”

In alcuni ambiti la complessità descritta può essere accentuata dalle decisioni delle Authority o dalla legislazione concorrente tra Stato e Regioni, come può emergere nelle Conferenze dei servizi o nei rapporti Concedente/Concessionario.

In più, Regioni ed Enti locali tendono a privilegiare le politiche della spesa rispetto ad altre ritenute meno popolari, mentre – prendendo come riferimento uno spunto sintetico di Giuseppe Beato su EticaPA del 10 maggio 2022 – si riscontrano improvvisi rafforzamenti e quindi allentamenti dei controlli non collegati a una visione strategica (ad esempio di politica economica) ma rispettivamente o a pressioni dell’opinione pubblica (dopo episodi di corruzioni o disastri) o a emergenze contingenti (rivitalizzare qualche settore economico). Sembra auspicabile, comunque, un ruolo ancora più incisivo sulla gestione della spesa da parte della Corte dei conti.

Quanto precede aiuta a comprendere i contrasti e le incertezze tra i cittadini, nella società, nella politica, o nelle stesse rappresentanze di interessi, quando si deve decidere sui “controlli”. In particolare, per la Manutenzione, le prescrizioni possono rinviare a funzioni generali ma prive di indicazioni operative (assicurare l’alta sorveglianza; vigilare per garantire; ecc.) o indirizzare a obiettivi specifici espressi in termini generali (garantire la sicurezza; ecc.).

Così, di fatto, negli organismi interessati si caricano di responsabilità civili e penali o le posizioni di vertice (per assenza di indicazioni sulle attività essenziali da svolgere), o gli operatori incaricati delle fasi conclusive dei processi (asseverazioni, ispezioni delle attrezzature per la sicurezza, ecc.).

Si trovano sempre più spesso, da un lato coloro che ritengono i controlli necessari soprattutto per definire ed ampliare la trasparenza e per garantire i rapporti tra Istituzioni, Enti, persone fisiche e giuridiche, e dall’altro coloro che li considerano quasi un restringimento della libertà, anche di impresa, e un ostacolo allo sviluppo. Si può arrivare a divergenze aprioristiche: avviene ad esempio nel dibattito sui controlli ex ante o in corso di realizzazione o ex post di un’opera, quando si trascurano aspetti come l’impostazione delle procedure di acquisto/appalto, o la natura e dimensione di un’opera o la sua durata economica.

L’insieme delle considerazioni che precedono sottolinea l’utilità di valutare nuovi punti di vista sia per continuare a diffondere la cultura della Manutenzione, soprattutto nelle Istituzioni e negli organismi di rappresentanza di interessi, sia per comunicarla al “sociale” fino a far nascere una maggiore richiesta di Manutenzione, sia ancora per trasformare l’insofferenza già delineata nei cittadini e nelle forze produttive in una parziale assunzione di responsabilità diretta verso il Territorio, l’Ambiente, le infrastrutture, il costruito.

Le ipotesi di dettaglio che seguono sono suggerite solo come spunti di riflessione.

Per un’economia dei controlli

Le Linee guida della Manutenzione delle Infrastrutture nel Territorio del CNIM (Edizione DEI e SAPIENZA-CERI, 2019) dimostrano con uno stringente ragionamento economico che la Manutenzione è una forma di investimento che “si paga da sé”. Peraltro, l’orizzonte economico si può ampliare.

Alcuni Stati, in particolare Francia e Germania, dove i controlli mostrano un’architettura chiara e coerente, risultano forti e resilienti: danno certezze agli Enti che li gestiscono, alle Istituzioni che finanziano le opere, ai cittadini e ai corpi sociali intermedi; assicurano qualità confrontabili; aiutano il dialogo tra i sistemi scientifici, produttivi, finanziari a vantaggio della collettività.

Partendo da questo punto di vista si possono mettere a confronto alcuni Stati europei con il nostro Paese per misurare anche sul PIL sia l’incidenza del “valore economico” che i controlli assicurano direttamente e indirettamente, sia il livello – mai analizzato – dell’intera occupazione del settore, sia in ultimo alcuni differenziali di efficienza e una misura della ricchezza dissipata per le disfunzioni finora accennate.

A titolo di esempio la Raccomandazione del Consiglio sull’Integrità nel Settore Pubblico-OCSE Strumenti Giuridici – 2017 sottolinea che nei Paesi aderenti, dal 10 al 30% di un’opera pubblica rischia di andare perso per cattiva gestione e corruzione.

Per i controlli e la Manutenzione nell’ambito della sfera pubblica

Alcune politiche innovative hanno costi trascurabili. Tramite una analisi down/top che parta dalle esigenze operative finali di una infrastruttura in rapporto alla sua Manutenzione, si possono definire delle “filiere” di atti autorizzativi e di controlli limitandoli a quelli per le garanzie essenziali finanziarie, amministrative, di sicurezza, tecniche.

Si dovrebbero attribuire responsabilità esclusive, univoche e ben delimitate, alle funzioni degli organismi interessati, possibilmente secondo un criterio di prevalenza e, quindi, ridurre il ricorso alle prassi di formule quali “sentito il parere di…”, “di concerto con…”, spesso all’origine di ritardi conflittuali.

Possono essere introdotti rapidamente anche i criteri reputazionali nell’aggiudicazione dei contratti pubblici, accompagnati da un adeguato inasprimento delle sanzioni repressive attraverso l’uso degli stessi criteri. Inoltre, la diffusione dei poco noti “controlli collaborativi”, può comportare un ampliamento del rapporto di fiducia con le Istituzioni.

Questo tipo di scenario, ampliato e reso coerente, contribuirebbe a limitare quella interpretazione estensiva di “alta sorveglianza” o di “vigilanza” in grado di determinare procedimenti civili e penali assimilati da alcuni all’introduzione di fatto nel nostro ordinamento di una responsabilità penale oggettiva, che scavalca l’art. 27 della Costituzione quando afferma che “la responsabilità penale è personale”.

Per la digitalizzazione dei controlli nei processi di Manutenzione

Non risultano ancora dati organici su una maggiore efficienza conseguita dalla digitalizzazione o dalla informatizzazione nei controlli operati dalla Pubblica Amministrazione. Comunque, la digitalizzazione si è diffusa molto velocemente nell’ambito della Manutenzione, soprattutto dopo il crollo del viadotto sul Polcevera nel 2018.

Da un lato per la progressiva obbligatorietà del BIM (introdotto con il D.M. 560/2017 modificato dal D.M. 312/2021), dall’altro per la diffusione dei monitoraggi effettuati tramite sensori.

Quest’ultimo tipo di intervento viene spesso ritenuto più efficace rispetto a una buona Manutenzione, ma richiede di valutare ed elaborare le informazioni dei Big data raccolti con gli strumenti dell’Intelligenza Artificiale per comprenderne e definire le implicazioni operative. È maturata, così, l’urgenza di mettere a punto anche delle Linee guida relative alla digitalizzazione e ai monitoraggi effettuati tramite sensori nei processi di Manutenzione per il territorio e le infrastrutture.

Di Paolo Cannavò, Comitato scientifico FINCO

Giovannini: Non abbiamo messo da parte il Ponte sullo Stretto

Il governo italiano non ha accantonato il progetto del Ponte sullo Stretto di Messina. Lo ha dichiarato di recente Enrico Giovannini, ministro delle Infrastrutture e della Mobilità Sostenibili (Mims), ribadendo l’interesse su una delle Grandi Opere più note in Italia.

Il ministro è intervenuto sul dibattito in occasione dell’inaugurazione della Iginia, una nuova nave green per il servizio di traghettamento dello Stretto, operata da Rfi (Rete Ferroviaria Italiana), del Gruppo Ferrovie dello Stato, che offrirà servizi per il trasporto di treni, passeggeri e merci tra Messina e Villa San Giovanni.

Nello specifico, Giovannini ha rilanciato il progetto in questi termini: “Non abbiamo messo da parte il Ponte sullo Stretto, abbiamo affidato a Rfi lo studio di fattibilità per analizzare i diversi aspetti. Rfi ci ha mandato un primo cronoprogramma, ne stiamo parlando in maniera tale da procedere prima possibile all’avvio dello studio di fattibilità”.

A gennaio di quest’anno il governo di Mario Draghi ha impresso una nuova accelerazione sul progetto del Ponte, dando avvio allo studio di fattibilità tecnico-economica e affidandolo alla società Rfi, in quanto “capace di garantire la più appropriata continuità e interconnessione dell’intervento con quelli ferroviari progettati nei territori calabresi e siciliani”.

Nelle scorse settimane sul dibattito è intervenuto anche il prof. Aurelio Misiti, presidente del Comitato Nazionale Italiano per la Manutenzione, che ha ribadito la necessità di lasciare che sia il governo a valutare l’opzione più percorribile in vista della realizzazione dell’infrastruttura.

Da parte sua, il ministro Giovannini ha auspicato che il prima possibile si apra in Parlamento una discussione sul tema. Infine ha sottolineato che deve essere valutata la sostenibilità del progetto in riferimento soprattutto all’impatto ambientale sul territorio.

 È UN GRAVE ERRORE OPPORSI AL GOVERNO NELLA REALIZZAZIONE DEL PONTE SULLO STRETTO

In questi giorni si legge di tutto sui media meridionali relativamente alla realizzazione delle grandi infrastrutture del Sud. Per questi guastatori ( probabilmente ben remunerati) la via è quella di contrastare le proposte reazzabili dello Stato, il cui Governo non può non attuare le leggi vigenti. A queste si deve attenere il Ministro Giovannini quando informa il Parlamento e così ha fatto; ha tentato di intromettersi nel campo tecnico ritenendosi abilitato , sbagliando, a farsi suggerire di non realizzare il ponte. Coloro che ripropongono la soluzione indicata nel progetto a una campata di 3330 metri, dicendo che si tratta di un progetto cantierabile, sanno di affermare una menzogna. Il cantiere di FS a Cannitello non fa parte del progetto del ponte. Attualmente vige in  Italia la legge basata sul recepimento delle Direttive Europee e ad essa di è attenuto il Governo. Si tratta del D. L.  numero 50 del 2016 articoli 23-24-25-26. non più la Legge Obbiettivo abolita dal Parlamento.

Il General contractor non c’è più. Il Governo, la Cassazione e la Consulta hanno dato ragione al Governo e se il Signor Salini vuole costruire il ponte deve partecipare e vincere l’appalto internazionale previsto dalla legge vigente. La legge citata impone di elaborare tre progetti di fattibilità su tre soluzioni diverse; e non è una invenzione di Giovannini, che ha incaricato Italfer a redigere i tre progetti di fattibilità. Il Committente ( cioè Anas e RFI) sceglie la migliore soluzione è procede alla redazione del Progetto definitivo da presentare al Consiglio Superiore dei Lavori Pubblici per l’obbligatorio parere. Se il parere sarà positivo si passerà alla gara d’appalto nel cui bando si ricorrerà preferibilmente al sistema a misura. L’Impresa o le imprese che vinceranno la gara ordineranno le varie parti del ponte a società specializzate che alla fine dei lavori porteranno via mare i prodotti da assemblare nel Cantiere dello stretto, formato da circa 300 specialisti esperti nell’assemblaggio. Sarà come si costruiscono ormai i vari tipi di macchine a partire dalle automobili. Siamo quindi di fronte a una attività prettamente industriale e non più civile.

Da varie parti si tenta di suggerire il ritorno al passato ormai sepolto e non tener conto delle norme vigenti nel nostro paese. Io ritengo invece che i vertici tecnici del nostro Stato vanno lasciati liberi di agire e di tener conto anche del lavoro svolto dalla stessa SdS Società dello Stretto negli ultimi anni. Non vedo alcuna ragione di insistere di alcuni cosiddetti esperti su una o altra soluzione. La legge è chiara: la scelta è del Committente.

Lo ripeto i vertici tecnici italiani sono in grado di fare la scelta giusta.

Aurelio Misiti

“Uniformare i controlli per garantire una manutenzione efficace”: anche l’ANSFISA punta sulla cultura della manutenzione

A un anno dall’inizio della sua attività, anche l’ANSFISA, l’Agenzia Nazionale per la Sicurezza delle Ferrovie e delle Infrastrutture stradali e autostradali, sottolinea il valore della cultura della manutenzione. È quanto emerge dalla prima relazione dell’Agenzia, pubblicata in questi giorni, e inviata al Mims (Ministero delle Infrastrutture e della Mobilità Sostenibili) e al Parlamento.

Il documento conferma, come già ribadito da anni dal Comitato Nazionale Italiano per la Manutenzione (CNIM), l’importanza della prevenzione e della messa in sicurezza del sistema dei trasporti e delle infrastrutture italiane.

A partire da luglio 2021, l’Ansfisa ha coinvolto 30 tecnici organizzati in commissioni che hanno operato su 13 tratte stradali/autostradali e 170 opere civili (ponti, viadotti e gallerie) distribuite su tutto il territorio nazionale, effettuando 27 ispezioni e 5 audit dei sistemi di gestione della sicurezza presso i gestori. In aggiunta, sono state portate avanti ispezioni in 9 gallerie situate sulla rete transazionale (TERN) e 5 verifiche su ponti mobili e tratte segnalate per criticità.

Le ispezioni finora non hanno evidenziato criticità tali da pregiudicare la sicurezza dell’infrastruttura o della circolazione stradale e autostradale: non è stato, quindi, necessario imporre immediate limitazioni all’uso delle infrastrutture. Tuttavia, il quadro complessivo ha rilevato una realtà disomogenea nel monitoraggio delle opere e carenze manutentive diffuse.

La Direzione generale per la sicurezza delle ferrovie ha intensificato nel corso del 2021 l’attività di supervisione: sono state ispezionate 43 imprese ferroviarie, 12 gestori dell’infrastruttura, 2 gestori di reti isolate per un totale di 1.200 elementi verificati (veicoli e operatività del personale) a cui si aggiungono 21 audit sul gestore dell’infrastruttura nazionale e 23 procedimenti di segnalazione di irregolarità attivati a seguito di ispezione. Inoltre, sono stati emessi 11 certificati e 2 autorizzazioni di sicurezza, 48 autorizzazioni di tipi di veicoli su reti interconnesse, 2 sulle reti isolate, 162 autorizzazioni per l’immissione sul mercato di 697 veicoli ferroviari e 65 autorizzazioni per la messa in servizio di sottosistemi e applicazioni generiche di bordo e di terra.

Nel 2022, l’agenzia estenderà il suo intervento anche alla Commissione Permanente Gallerie e alla sicurezza degli impianti fissi di metropolitane, funivie, tram, ascensori, e scale mobili.

“Lo scopo di Ansfisa – ha dichiarato il Direttore Domenico De Bartolomeo – è quello di uniformare il più possibile il monitoraggio delle infrastrutture da parte dei gestori che sono i primi responsabili della sicurezza. Stiamo lavorando per accompagnare le aziende verso una nuova attenzione alla manutenzione che la renda più efficace. L’Agenzia vigilerà su questo aspetto a tutela della sicurezza dei cittadini in ogni settore di sua competenza: dai treni alle metropolitane, dalle funivie alle strade, ponti e gallerie”.

Uniformare il monitoraggio delle infrastrutture e diffondere una cultura della manutenzione del territorio dovrebbero essere una priorità d’azione per lo sviluppo sociale ed economico dell’Italia. Per fornire la più vasta formazione tecnica nell’ampio panorama del territorio, il CNIM ha pubblicato già nel 2019 le “Linee Guida per la Manutenzione delle Infrastrutture nel Territorio”, edito da DEI Tipografia del Genio Civile.